Le norme che limitano l’uso di un bene da parte dei proprietari hanno l’effetto di un prelievo forzoso
Babbo Natale porta agli italiani una patrimoniale mascherata. Lo Stato ha infatti due modi di tassare le proprietà: attraverso l’applicazione di imposte formali (per esempio l’Imu) oppure con regole che ne limitano l’utilizzo in modo arbitrario e capriccioso. Le prime hanno il vantaggio di essere ben visibili; le altre sono più insidiose. È il caso delle numerose norme sugli affitti brevi, che hanno come obiettivo (ed effetto) impedire l’utilizzo delle abitazioni in modo tale da soddisfare la domanda di chi, per turismo o lavoro, deve soggiornare per periodi limitati in un certo posto. Si tratta di un meccanismo infernale soprattutto nei periodi di alta richiesta, come le prossime Olimpiadi invernali di Milano-Cortina. Eppure, sotto questo profilo, cattive notizie si sommano ad altre cattive notizie. Avevamo già commentato i divieti di lock box che stanno proliferando un po’ ovunque e le misure punitive contenute nella Legge di bilancio, fortunatamente attenuate nelle ultime revisioni. Adesso la notizia è che una sentenza della Consulta ha confermato la costituzionalità della legge regionale toscana sul tema, di fatto dando il via libera alle regioni che vogliono legiferare in materia. Il fischio del liberi tutti non è passato inosservato: nel giro di poche ore, la regione Emilia-Romagna ha seguito le orme della Toscana.
Che fare? La pronuncia dei giudici costituzionali suggerisce che la litigation è una strada sbarrata: l’unica via per ripristinare la pienezza del diritto di proprietà è convincere la politica di quanto assurde e controproducenti siano le limitazioni. Un esempio di come la difesa del diritto di proprietà dovrebbe essere organizzata viene da Venezia, dove il tema è comprensibilmente caldissimo. La giunta aveva varato un regolamento molto restrittivo; le opposizioni chiedono addirittura una moratoria e norme ancora più draconiane. La delibera è stata presto sospesa grazie al lavoro di numerose associazioni di proprietari (Abbav, Breve, Agata, Confedilizia, Fiaip e Prolocatur) che hanno scelto di combattere la propria battaglia a viso aperto.
Il caso di Venezia è interessante anche perché rappresentativo dell’andamento delle città storiche del nostro Paese. Il processo di spopolamento del centro storico ha avuto inizio negli anni Sessanta e non si è interrotto neppure nei 20 anni di applicazione dell’equo canone (1978-1998), al termine dei quali si è registrato un ulteriore decremento della popolazione di circa 30mila residenti. La diffusione delle locazioni turistiche a Venezia può essere interpretata sia come effetto delle dinamiche migratorie sia come una strategia adottata da numerosi cittadini per continuare a risiedere in una città la cui economia risulta fortemente dipendente dal settore turistico. Tale fenomeno ha inoltre consentito il recupero di immobili da tempo abbandonati, a carico dei proprietari privati, contribuendo a processi di rigenerazione urbana e di riqualificazione del patrimonio immobiliare privato
Non sappiamo come la questione andrà a finire, a Venezia e nel Paese: sappiamo però che in ballo c’è qualcosa che va al di là del legittimo interesse dei proprietari di appartamenti a Venezia o altrove. Regolamenti che limitano l’uso dei loro beni da parte dei proprietari, anche quando questo non comporta alcun danno per terzi, sono del tutto equivalenti a un vincolo sulla proprietà stessa, e hanno i medesimi effetti di un prelievo forzoso.
Aggiornato il 23 dicembre 2025 alle ore 16:37
