Sguardi liberi e riflessioni su idee, potere, società
a cura di Sandro Scoppa
18/2025 – Il mercato e il diritto: i dioscuri della nostra civiltà
I mezzi di comunicazione ci trasmettono ogni giorno lo stesso messaggio: il mercato sarebbe un luogo dominato dall’egoismo, dagli squilibri, persino dalla violenza. Lo si definisce con superficialità una giungla. È un’immagine ripetuta senza sosta, un rituale che rivela non solo la fretta del lavoro giornalistico, ma anche l’uso pigro dei luoghi comuni.
Eppure, basta un minimo di riflessione per scoprire una realtà molto diversa. Lo scambio non è un’arena di soprusi, è l’atto elementare della nostra reciproca dipendenza. Nessuno è autosufficiente, e per questo ciascuno è costretto a interagire con l’altro. Da qui nasce il mercato, cioè l’istituzione che rende possibile la cooperazione sociale.
Lo scambio volontario è un gioco a somma positiva: migliora la condizione di chi vende e di chi compra, perché nessuno accetterebbe volontariamente una transazione che lo danneggia.
Questa semplice verità è stata conquistata con fatica. Per secoli ha dominato la convinzione che la ricchezza fosse una torta immobile, e che per aumentare la propria fetta occorresse sottrarre quella degli altri con la forza o l’inganno. La prima economia politica ha rovesciato questo pregiudizio: la libera cooperazione produce un ingrandimento della torta, rendendo possibile un miglioramento diffuso.
Tuttavia, il mercato non può esistere senza due presupposti fondamentali: l’uguaglianza degli individui davanti alla legge e il riconoscimento della proprietà privata. Senza queste condizioni, nessuno avrebbe i mezzi per esercitare davvero la propria libertà di scelta. Per questo mercato e diritto nascono insieme, si rafforzano a vicenda e, se vengono intaccati, muoiono insieme. Chi riduce il mercato a una giungla dimentica che la sua funzione primaria è proprio quella di sostituire la violenza con regole di convivenza, impedendo appropriazioni arbitrarie.
Un’altra lezione fondamentale della prima economia politica è che nello scambio non conta l’accordo sui fini, ma solo sui mezzi. Ognuno ricerca i propri scopi personali e trova nel mercato lo strumento per avvicinarsi a essi. Da qui sorge un interrogativo cruciale: come si forma allora l’ordine sociale, se non c’è accordo sulle finalità?
La risposta è nel diritto, che delimita i confini delle azioni individuali e garantisce la compatibilità tra di esse. In questo modo, dalla molteplicità degli atti personali scaturisce un ordine che nessuno ha previsto o imposto. È un ordine spontaneo, superiore a qualsiasi costruzione pianificata, perché nasce dalla responsabilità diffusa degli individui e dal continuo processo di scoperta e correzione degli errori.
Il diritto non impone contenuti, traccia limiti, creando lo spazio nel quale ogni persona può sperimentare e innovare. I risultati non dipendono dalla conoscenza limitata di un pianificatore, bensì dal contributo dinamico di tutti.
Così, mercato e diritto si rivelano i dioscuri della nostra civiltà: senza il primo non c’è cooperazione, senza il secondo non c’è libertà. È da questa unione che nasce la forza delle società aperte, capaci di crescere senza bisogno di padroni onniscienti, ma grazie alla libera iniziativa di milioni di individui.
Aggiornato il 22 dicembre 2025 alle ore 12:45
