Un nuovo progetto di Epicenter studia la qualità del diritto dell’Unione europea e offre utili spunti per ridurne i costi impliciti. È importante comprendere il nesso tra il modo in cui sono scritte le leggi e gli incentivi o disincentivi che questo determina sull’attività economica. Nel corso del tempo, la qualità delle norme europee sembra essersi deteriorata; inoltre, queste vengono rese ancora più intricate dopo i passaggi al Parlamento europeo che, invece di correggere le storture della Commissione, finiscono per aggiungere disordine e burocrazia.
Per esempio, “le direttive Ue dal 2022 al 2024 presentano strutture sintattiche sempre più complesse, con una media di 38,6 parole e 250 caratteri per frase e 1,9 virgole per frase. Queste cifre sono in netto contrasto con la raccomandazione della Plain English Campaign del Regno Unito di non superare le 20 parole per frase”.
Non solo: “Dato che molte direttive dell’Ue superano le 30.000 parole e presentano frasi lunghe e complesse con una media di quasi 39 parole, una qualsiasi direttiva potrebbe realisticamente richiedere da quattro a sei ore di lettura per un non esperto disposto a concentrarsi nell'impresa”.
E ancora: “In media, gli atti giuridici coprono 24,4 pagine e contengono 11,7 articoli, anche se la loro lunghezza varia notevolmente di anno in anno. La lunghezza media più elevata è stata registrata nel 2023 (33,3 pagine), mentre quella più breve nel 2024 (19,2 pagine). Il settore dell’energia ha prodotto gli atti più lunghi (68,7 pagine; 17,3 articoli), seguito dal settore ambiente, consumatori e protezione della salute (40 pagine; 14,4 articoli). Al contrario, i settori libertà, sicurezza e giustizia (8,4 pagine, 7,9 articoli) e “questioni generali, finanziarie e istituzionali" (9 pagine, 4 articoli) hanno prodotto gli atti più concisi”.
Queste complessità si estendono alle Valutazioni di impatto, non sempre realizzate e spesso insufficienti o a loro volta scritte in modo incomprensibile, e all'iter delle norme, raramente pianificato in anticipo. Il modo in cui le leggi vengono scritte genera due tipologie di costi: da un lato, la necessità per le persone di avvalersi di consulenze di esperti la cui principale funzione è “tradurre” le leggi in lingua corrente; dall'altro, la complessità sintattica spesso si traduce in incertezza interpretativa, lasciando quindi ai tribunali l’ultima parola, con ovvie conseguenze in termini di tempi e costi per accertare il reale contenuto delle leggi. L’impatto di tutto questo è macroscopico.
Un recente studio sull’Italia ‒ che certo in materia di arzigogoli normativi può dare lezioni al mondo ‒ ha stimato il costo della complessità normativa (intesa appunto come comprensibilità letterale delle norme) nell’enorme cifra di 110 miliardi di euro, pari al 5 per cento del Pil.
Migliorare la qualità del diritto è fondamentale. Il processo deve partire necessariamente da Bruxelles, perché gran parte delle norme nazionali derivano direttamente o indirettamente da input europei: l’Italia è bravissima a complicare le cose semplici, ma se già il punto di partenza è zeppo di intoppi lessicali, la ricetta per il declino è servita.
Aggiornato il 11 dicembre 2025 alle ore 10:04
