La Cina fa credito (ai più ricchi)

E meno male che il debito cinese era una “trappola”. Nella quale, però, pare ci sia cascato il Primo Mondo. Ricco, civilizzato, libertario. E molto, molto indebitato. Lo studio di AidData, un laboratorio di ricerca della William & Mary University of Virginia specializzato nel monitoraggio della spesa pubblica all’estero, rileva che la Cina, cioè il maggiore creditore mondiale, abbia in 24 anni, reindirizzato i suoi prestiti principalmente verso Paesi ricchi e tecnologie sensibili.

Per 4 anni, il centro di ricerca ha collaborato con 120 ricercatori per produrre quello che è considerato il primo inventario completo (Chasing China: learning to play by Beijing's global lending rules) di tutti gli investimenti cinesi sostenuti a livello mondiale. La sorpresa è che i risultati stravolgono l’idea diffusa che Pechino usi il credito per assoggettare i Paesi in via di sviluppo nella sua area di influenza.

Dal 2000, la Cina ha immesso 2,2 trilioni di dollari al di fuori dei suoi confini, finanziando almeno 200 Paesi. Una cifra da 2 a 4 volte superiore a quanto stimato in questi anni. Quasi la metà di questi fondi è stata destinata a Paesi ricchi. Sono cioè Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia, Australia e Paesi Bassi ad aver beneficiato maggiormente di questi flussi di denaro. Gli Usa, gli stessi che ironicamente, consapevolmente e tragicamente denunciano la “trappola del debito cinese” si confermano il maggiore debitore di Pechino, con oltre 200 miliardi di dollari di debito maturato dal 2000 al 2023. Prestiti che hanno finanziato 2500 progetti, come il terminal all’aeroporto JFK, gasdotti in Texas, data center in Virginia e persino aziende iconiche come Amazon, Tesla e Boeing.

Seguono Russia (172 miliardi), Australia (130 miliardi), e Venezuela (106 miliardi). L’Europa che vuole fare da sé, però, non è da meno. L’Ue ha ricevuto 161 miliardi di euro, per 1800 progetti. Tra i Paesi che hanno stipulato i maggiori accordi figurano la Germania (33,4 miliardi di dollari), la Francia (21,3), l’Italia (17,4), il Portogallo (11,7) e l’Olanda (11,6). Più di tre quarti delle operazioni di prestito all’estero della Cina sostengono progetti e attività nei paesi a reddito medio-alto e nei Paesi ad alto reddito, avverte Brad Parks, direttore esecutivo di AidData e responsabile del rapporto. “Gran parte dei prestiti ‒ afferma ‒ ai Paesi ricchi si concentra su infrastrutture critiche, minerali essenziali e l’acquisizione di asset high-tech, come le aziende di semiconduttori”.

I risultati del lavoro di AidData, si fa notare, vanno oltre l’atmosfera rarefatta dell’alta finanza, con implicazioni per la strategia geoeconomica e di sicurezza nazionale. Il rapporto tocca argomenti delicati e variegati come la vulnerabilità delle riserve strategiche di materie prime, l’affidabilità delle centrali elettriche e delle reti di trasmissione, il controllo dei punti di strozzatura marittimi internazionali, la resilienza delle catene di approvvigionamento globali e la competitività nazionale nei settori ad alta tecnologia.

Sebbene governi e alleanze (come la Nato e il G7) siano in aperta competizione con Pechino, il rapporto fa luce sulla verità che conta: molte istituzioni finanziarie occidentali o guidate da occidentali hanno scelto di collaborare con creditori statali cinesi, e molte aziende occidentali hanno preso in prestito ingenti somme dalle stesse istituzioni. La grande morale di questa storia, in sostanza, alza il velo sulle ipocrisie occidentali. Anziché tracciare la propria strada, si osserva, il G7 sta, di fatto, cercando di competere con Pechino imitando le sue strategie. I Paesi occidentali “stanno chiudendo o tagliando i bilanci delle agenzie di aiuti esteri, accelerando i prestiti con giustificazioni di sicurezza nazionale, acquisendo partecipazioni azionarie in infrastrutture critiche e risorse minerarie essenziali in giurisdizioni estere e salvando stati sovrani in difficoltà finanziarie”.

Aggiornato il 09 dicembre 2025 alle ore 10:31