Allerta energia, così le imprese non ce la fanno

Le partecipate con monopoli di energia e gas devono allinearsi ai ricavi medi europei. Basta super ricavi e super utili, serve adeguamento ad una politica con un ebitda europeo

A Roma, nell’appuntamento annuale di Confimi Industria intitolato “Cara Energia…”, il presidente Paolo Agnelli ha scelto di inaugurare i lavori con un quadro netto della crisi che attraversa il sistema produttivo. Un’analisi fondata su dati e tendenze ormai strutturali: “Negli ultimi 30 anni le imprese manifatturiere sono calate di circa 250mila unità. Per la prima volta in 13 anni, da quando è nata Confimi Industria, i nostri uffici ricevono chiamate di imprenditori che non chiedono come resistere, ma come organizzare la loro uscita dall’Italia”. Un fenomeno che, come ha rilevato lo stesso Agnelli, investe anche la dimensione generazionale, coinvolgendo direttamente l’eredità industriale del Paese: “Quasi il 40 per cento dei giovani industriali del nostro sistema – i nostri stessi figli – sta valutando di fondare la propria impresa all’estero. Non per crescita, ma per sopravvivenza. Questi dati inducono tutti noi e le forze politiche a fare serie”.

A portare il proprio contributo sono intervenuti i ministri Giancarlo Giorgetti (Economia e Finanze) e Adolfo Urso (Imprese e Made in Italy), dopo il videomessaggio della presidente del Consiglio Giorgia Meloni indirizzato alle aziende della manifattura. Hanno fatto giungere i loro saluti anche il vicepresidente del Consiglio Antonio Tajani, il ministro della Difesa Guido Crosetto e il titolare del Mase Gilberto Pichetto Fratin, segno della centralità del tema nel dibattito politico. Al centro dell’allarme lanciato da Agnelli vi è un fattore determinante: il costo dell’energia. “Un’impresa italiana paga l’energia 85,28 euro per Megawattora, oltre il triplo dei 25,45 euro della Francia. Un differenziale che compromette ogni possibilità di competere”, ha denunciato il presidente di Confimi, indicando in questo squilibrio il principale motore dell’emorragia industriale. Da qui il Manifesto per l’energia della Confederazione, che propone un intervento diretto dello Stato nel mercato energetico, una riduzione della pressione fiscale, la revisione delle rendite delle società regolamentate, una politica estera dedicata e il disaccoppiamento tra fonti rinnovabili e fossili.

Il confronto politico è proseguito con una tavola rotonda che ha riunito rappresentanti di tutte le principali forze parlamentari: Angelo Bonelli (Alleanza verdi e sinistra), Claudio Borghi (Lega), Maria Elena Boschi (Italia viva), Mariastella Gelmini (Noi moderati), Antonio Misiani (Partito democratico), Nicola Procaccini (Fratelli d’Italia), Marco Rizzo (Democrazia sovrana popolare), Luca Squeri (Forza Italia), Mario Turco (Movimento 5 stelle) e Giuseppe Zollino (Azione).

Sul versante della legge di bilancio, Agnelli ha riconosciuto l’impegno per la stabilità dei conti pubblici, avvertendo tuttavia che “la stabilità dei conti non possa avvenire rischiando di colpire il tessuto produttivo”. Le misure previste, ha osservato, mostrano segnali incoraggianti ma ancora troppo discontinui per incidere realmente sulle Piccole medie imprese. In quest’ottica, la Confederazione chiede un orizzonte triennale per il super-iperammortamento, un rafforzamento della revisione dell’Irpef, la stabilizzazione dell’agevolazione sui premi di risultato e una soluzione definitiva per le imprese che hanno investito nella Transizione 5.0. Resta invece un giudizio critico sulla stretta alle compensazioni F24 e sulla nuova disciplina dei dividendi, ritenute penalizzanti per le piccole e medie imprese.

Agnelli ha richiamato infine l’urgenza di preservare quella che definisce la “biodiversità industriale” italiana, fatta di aziende familiari radicate nei territori e orientate al lungo periodo: “Un modello unico, radicato nel territorio, che guarda al lungo periodo e alle persone. Il nostro Dna economico. La stabilità dei conti pubblici non può mettere a rischio il tessuto manifatturiero che quei conti, in ultima analisi, li alimenta”. E ha ribadito il legame identitario che caratterizza la parte più vitale dell’industria nazionale: “Non vogliamo andare via e non possiamo farlo. Rappresentiamo quelle piccole e medie imprese che quando tutti scappano, restano. Le nostre aziende non sono un codice in Borsa, ma hanno il nostro nome sulla porta. Per questo delocalizzare per noi non deve essere un’opzione, ma serve un tessuto adatto. Non abbiamo la verità in tasca – chiosa il presidente di Confimi – ma il nostro è il grido d’allarme di chi il lamierino in fabbrica lo calpesta tutti i giorni. Per questo mettiamo a disposizione del Governo e di tutte le forze politiche la nostra esperienza per un confronto costruttivo sugli interventi necessari a tutela del sistema-Paese”.

Aggiornato il 04 dicembre 2025 alle ore 13:34