Il potere e la paura del contante

L’emendamento alla Manovra 2026 vorrebbe alzare la soglia, ma preserva il sospetto: libertà apparente, controllo reale.

In questi giorni, durante la discussione sulla Manovra 2026, è stato presentato un emendamento che propone di innalzare da 5.000 a 10.000 euro il limite all’uso del contante, introducendo tuttavia un balzello fisso di 500 euro per le transazioni che superano i 5.000.

La misura è stata descritta come un’apertura e tale può appare a una disamina non approfondita. Nondimeno, conserva intatta l’impostazione che da anni regola la materia: l’uso del contante non è visto come una facoltà naturale del cittadino, bensì come un comportamento da circoscrivere, monitorare e condizionare. Si modifica la soglia, non la logica. È l’ennesimo segnale di un ordinamento che continua a trattare l’autonomia monetaria come una deroga, non come un diritto.

Gli è che, negli ultimi trent’anni, la disciplina italiana ha oscillato senza tregua, passando da limiti elevati a soglie minime secondo convenienze contingenti, senza alcuna coerenza giuridica. In pratica, non si è mai costruito un principio, si è semplicemente modulato un sospetto. Eppure, il contante non è un residuo del passato: è una delle più antiche forme di certezza negli scambi.

Nel diritto romano, ad esempio, la numerata pecunia estingueva l’obbligazione in modo immediato, senza intermediari e senza condizioni. Questa immediatezza è stata, in ogni epoca, ciò che ha reso il contante oggetto di diffidenza da parte dei poteri che hanno tentato di controllare gli scambi dall’alto. La storia è costante: ogni volta che l’autorità ha provato a disciplinare la circolazione materiale della moneta, gli scambi sono semplicemente migrati altrove, al di fuori del suo sguardo. È accaduto nell’età tardo-imperiale, con il proliferare dei mercati paralleli; identica cosa nelle monarchie assolute, quando la regolazione forzosa ha minato la fiducia nella moneta ufficiale; anche nei sistemi del Novecento fondati sulla tracciabilità totale, che non hanno ridotto l’opacità, ma l’hanno solo redistribuita.

Il caso italiano è comunque peculiare non per la severità delle soglie, piuttosto per la loro instabilità. Peraltro, mentre Paesi come Germania e Austria non prevedono limiti e il Portogallo fissa una soglia ampia senza aggiungere oneri, l’Italia accompagna ogni limite con un apparato di adempimenti che finisce per scoraggiare l’uso del contante anche quando la sua utilizzazione è perfettamente legale. In tal senso si muove il balzello fisso ora proposto, che non ha affatto una funzione economica, bensì pedagogica, da Stato etico: ribadisce infatti che ciò che non passa attraverso i canali tracciati deve essere reso oneroso. È in buona sostanza un riflesso diretto dell’architettura monetaria fondata sul monopolio della banca centrale, istituzione che concentra nelle proprie mani la definizione della moneta, della sua quantità e del suo costo. Un sistema, in definitiva, in cui un unico soggetto pubblico decide tutto tende inevitabilmente a sospettare di ciò che non controlla.

Esiste però un modello alternativo, ben radicato nella storia europea: quello della concorrenza monetaria.

Il free banking, provato con risultati significativi in Scozia e confermato, in contesti extra-europei, dall’esperienza canadese, mostra che più istituzioni possono emettere strumenti convertibili e responsabili, disciplinati dalla reputazione e dal mercato. L’abolizione della banca centrale rimuoverebbe poi il presupposto politico che alimenta la diffidenza verso tutto ciò che sfugge al monopolio, restituendo agli individui la possibilità di scegliere la forma monetaria più affidabile.

La denazionalizzazione della moneta, infine, completerebbe questo ordine liberando la moneta dal controllo politico e riportandola alla valutazione degli attori privati. In un simile contesto il contante non sarebbe un’anomalia, ma una delle molte forme con cui gli individui regolano i propri scambi, senza sospetti e senza oneri arbitrari.

Il balzello previsto dall’emendamento va invece nella direzione opposta: segnala che l’autonomia deve essere scoraggiata, o quantomeno resa costosa. Ma una comunità che deve pagare per esercitare un gesto elementare come consegnare una somma di denaro non può essere considerata libera. Al contrario, è una collettività che accetta di essere governata anche nelle forme più ordinarie della propria vita economica. Difatti, un sistema che pretende di controllare ogni movimento monetario non considera gli individui come soggetti responsabili, mostra di qualificarli come potenziali colpevoli. È la logica di un potere che non arretra, che non tollera spazi non presidiati e che interpreta ogni margine di autonomia come una minaccia al proprio ruolo.

In conclusione, una moneta affidata al monopolio politico finisce per generare diffidenza verso ogni forma di autonomia. In pratica, se un apparato centrale stabilisce quantità, costo e natura del denaro, tutto ciò che non transita attraverso i suoi canali viene automaticamente percepito come irregolare.

In questo quadro, una libertà resa onerosa perde la sua natura e diventa mera tolleranza amministrativa. Il potere che decide come possiamo pagare, infatti, finisce per determinare anche il perimetro di ciò che siamo autorizzati a fare. Una società che accetta questa impostazione non estende la propria autonomia: la riduce. E una realtà che preferisce la sorveglianza alla responsabilità individuale rinuncia, senza neppure ammetterlo, a una parte essenziale della propria libertà civile.

Aggiornato il 01 dicembre 2025 alle ore 10:46