Abbiamo stima e ammirazione per quanto ha saputo fare il ministro dell’Economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti sin dall’inizio della legislatura. Nei poco più di tre anni che presiede il dicastero di via XX Settembre ha realizzato, senza colpo ferire, risultati straordinari in tema di risanamento delle finanze pubbliche. Grazie al muro di gomma che ha saputo frapporre avverso le richieste di maggiori spese da parte dei partiti della coalizione di Governo e delle opposizioni. Sono fermamente convinto che troverà una soluzione, per mantenere i saldi invariati della legge di stabilità, nonostante gli emendamenti alla legge finanziaria da parte dei partiti di maggioranza e di opposizione che comportano come sempre maggiori spese. Il rigore e la disciplina sui conti pubblici attuato dal ministro Giorgetti hanno determinato:
1) Il miglioramento netto del rating assegnato da tutte le agenzie internazionali sul nostro debito sovrano;
2) Ridotto a livelli record, dalla introduzione dell’euro, il differenziale di tasso d’interesse (spread) tra i nostri Btp con scadenza decennale rispetto ai corrispondenti Bund tedeschi con equivalente scadenza;
3) Ridotto il costo per interessi relativo al servizio del debito pubblico italiano;
4) Alleggerito, nei limiti di quanto il bilancio dello Stato consentiva, il cuneo fiscale e contributivo e le aliquote dell’imposta sul reddito delle persone fisiche;
5) Il rientro, con un anno di anticipo sul previsto, dalla procedura d’infrazione dell’Unione europea per debito eccessivo, entro i limiti imposti dal trattato di Maastricht, ovvero il 3 per cento del rapporto deficit/Pil;
6) Il ritorno all’importantissimo avanzo primario che misura la differenza tra le uscite e le entrate finanziarie dello Stato al netto della spesa per interesse. Se l’Italia, oggi, non pagasse interessi sul debito pubblico le entrate supererebbero le uscite.
L’unico argomento strumentale che mettono in campo le opposizioni contro la legge di stabilità è che non persegue la crescita del Pil. Per costoro la crescita del reddito nazionale lordo si deve perseguire continuando politiche di spesa pubblica. Fare crescita utilizzando la leva del debito pubblico ha effetti positivi nel breve termine ma che risultano essere devastanti nel medio termine per una Nazione che ha cumulato un debito di circa il 135 per cento del Pil. Le politiche economiche anticicliche, quelle che prevedono investimenti pubblici realizzati a debito, non ce le possiamo permettere fino a quando il debito complessivo non rientri entro parametri fisiologici e sostenibili.
Il trattato di Maastricht prevedeva due parametri sostanziali: un rapporto deficit/Pil entro il 3 per cento e un rapporto debito/Pil, in prospettiva, non superiore al 60 per cento. Il peso di oltre 3.000 miliardi di euro di debito pubblico incidono sui conti dello Stato oggi per circa 80 miliardi di euro l’anno. Meno spese per interessi liberano risorse per una ulteriore riduzione del rapporto deficit/Pil e per contenere il peso dell’erario sulle tasche delle imprese e delle famiglie italiane. Nelle condizioni date, la priorità di un governo serio, che persegue il bene comune, è la riduzione del debito nell’interesse dei cittadini sia per l’oggi che per le future generazioni. Nonostante il rigore nella gestione dei conti dello Stato, il consenso dei cittadini italiani nei confronti dei partiti di maggioranza è sempre cresciuto. Risulta evidente che gli italiani sono consapevoli del fatto che tenere i conti in ordine è un vantaggio per tutti. I bonus elettorali sono sempre un espediente di corto respiro! Eliminare gradualmente le provvidenze pubbliche che bruciano diverse decine di miliardi di euro l’anno di minori entrate per lo Stato, delle quali ne beneficiano in pochi facendone pagare il fio agli altri contribuenti è non solo iniquo ma anche politicamente controproducente.
Aggiornato il 28 novembre 2025 alle ore 10:08
