Taccuino Liberale #64

venerdì 14 novembre 2025


La recente scomparsa del proprietario dell’Acqua Sant’Anna e le diverse testimonianze sulla sua figura imprenditoriale, che si possono leggere sui principali media, ripropongono l’annosa questione dei salari bassi e del costo aziendale del lavoro, che in Italia è particolarmente gravoso, sia economicamente che burocraticamente. Bertone avrebbe dichiarato che in Italia è impossibile innalzare i salari, troppa burocrazia (sindacale) e troppo oneroso per l’azienda.

Il costo aziendale del personale è una delle voci più preoccupanti per chi fa azienda, perché a differenza di quello che pensano ancora i sindacati, e forse alcuni loro iscritti e lavoratori, il salario non è una variabile indipendente. Alcune voci di remunerazione dovrebbero essere legate al merito e alla capacità di produrre valore per l’azienda (così come chi produce disvalore o fa errori, arrecando danni all’azienda, non può essere uguale, e quindi essere trattato economicamente come quello che non ne fa). 

In Italia queste idee hanno determinato una situazione patologica, per cui tante aziende se ne sono andate dall’Italia, e quelle sono state costrette a rimanere, non riescono a crescere o a innovare, anche per questo motivo. Chiaramente questo discorso vale soprattutto per quelle aziende che stanno davvero sul mercato, e non sono in un rapporto stretto e correlato con la Pubblica amministrazione, perché in quel caso le logiche diventano non dissimili a quelle ministeriali, e assunzioni e premialità rispondono a sistemi organizzativi non dissimili a quelli pubblici. 

Le richieste di questa fetta di imprenditoria (di mercato) che è la spina dorsale di questo Paese, ossia di una minore onerosità del costo del lavoro, e di una sburocratizzazione (leggasi sottrazione dal potere esercitato dai sindacati che spesso fanno più i propri interessi di organizzazione che dei singoli lavoratori) delle procedure di gestione del personale e di assegnazione degli incentivi, andrebbero accolte dal governo, il quale purtroppo, dovendo ancora gestire le scellerate scelte economiche fatte nella precedente intera legislatura ed i suoi governi, ora che stanno finendo i soldi del Pnrr e che la sbornia del superbonus sta facendo ridurre la bolla in campo edilizio, ha le mani abbastanza legate, a meno di non decidere per una ricetta lacrime e sangue nei riguardi della burocrazia, delle spese inutili o improduttive, ma voi ce lo vedete un tacchino che è felice per l’arrivo della Festa del Ringraziamento?

La risposta, la via, la ricetta è solo questa, altro che patrimoniale, come invoca il segretario generale della Cgil e appresso la segretaria del Pd, che addirittura alza il tiro e la vorrebbe imporre a tutta l’Europa. Ad entrambi forse sfugge che in altri Paesi, quello che facciamo in Italia fa accapponare loro pelle, che uno Stato così elefantiaco e drenante di risorse pubbliche nel 2025, è ben noto, sia del tutto fuori dal tempo e dalla storia, e che stante i venti di guerra internazionali, occuparsi di quelle 2-3 materie come la difesa dei confini e poco altro dovrebbe essere lo scopo precipuo dello Stato. 

Uno Stato minimo, minimissimo, dovremmo avere per almeno 10-15 anni, con una tassazione molto bassa per attrarre investimenti o riportare in Italia quello che abbiamo perso, e riducendo il costo aziendale del lavoro, rendendo il lavoro flessibile al massimo, in modo che ognuno possa costruirsi la carriera lavorativa che vuole, non dovendosi affidare ad un sistema giuslavoristico che, con leggi apparentemente a tutela del lavoratore, di fatto lo escludono dal mercato del lavoro, rendendogli la vita molto più complicata.

La dignità del lavoratore non sta nella speranza che un sistema di tutele gli conservi il posto di lavoro (e già la terminologia usata dalla retorica sindacale la dice lunga sulla distorsione del mercato del lavoro che c’è nel paese, perché non è “un posto” non è una sedia conquistata da difendere) ma nella consapevolezza che ogni qual volta qualcosa non vada possa serenamente chiudere quel rapporto di lavoro, perché il mercato offre altro tra cui scegliere. Se non puoi scegliere dove lavorare, ma ti devi accontentare di quello che trovi, non sei libero, sei schiavo del lavoro, anche se a volte per essere liberi, non basta aspettare e sperare che qualcuno ti assuma. 

Molti anni fa si diceva che fosse più facile divorziare che licenziare, è purtroppo ancora così, ma oggi, possiamo aggiungere, è ancora più difficile scegliere di assumere e premiare. E la risposta, la soluzione, non è più Stato.

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di Elvira Cerritelli