Nell’ambito delle audizioni sulla indagine conoscitiva sulla legge di stabilità alle commissioni di Camera e Senato sulla manovra di bilancio, le parti sociali audite con particolare riferimento alle organizzazioni rappresentative delle imprese e dei sindacati, hanno criticato il Ddl sulla legge di stabilità. Tutte le organizzazioni ascoltate hanno lamentato, è una costante di ogni legge finanziaria, la carenza di risorse che la finanziaria destina ai singoli settori economici. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, con la sua solita flemma, ha affermato, giustamente, che le critiche addotte dalle associazioni di categorie al Disegno di legge riguardano “interessi di parte io penso all’intero Paese”. Molto più equilibrato e oggettivo nel merito, l’analisi di Renato Brunetta, presidente del Cnel, che ha spiegato nel suo intervento i vantaggi, in prospettiva, di una politica di bilancio che non prevede ulteriore indebitamento, considerato il vincolo di bilancio esterno imposto dal patto europeo di stabilità e il rientro dentro i parametri che impongono un deficit-Pil entro il 3 per cento; ponendo l’accento sull’apprezzamento dei mercati finanziari e delle agenzie di rating, e soprattutto l’impatto positivo che potranno avere sui consumi interni i rinnovi contrattuali sottoscritti nel pubblico impiego e nella scuola.
Il titolare del dicastero di Via Venti Settembre, da tecnico per formazione e da raffinato politico, ha applicato, a mio avviso, un principio economico: “I beni in natura sono limitati, mentre i bisogni sono crescenti e illimitati”. Soddisfare le richieste di risorse da parte delle parti cozza con la situazione della finanza pubblica. In sostanza, l’Italia non può permettersi il lusso di fare politiche economiche anticicliche aumentando il debito pubblico. Rispettare le regole di una sana e corretta gestione delle risorse pubbliche dovrebbe essere l’imperativo per chi presiede il dicastero dell’economia. È facile spendere accontentando tutti. Il problema è che uno Stato fortemente indebitato deve mantenere alta l’attenzione sui dati di bilancio. Politiche fiscali espansive a debito hanno certamente effetti positivi a breve ma sono devastanti in termini di costo per interessi per lo Stato nel medio termine. Maggiori costi che dovranno essere in futuro coperti o con un aumento del prelievo fiscale oppure con tagli ai servizi ai cittadini.
L’attento gestore delle finanze pubbliche è consapevole del fatto che a causa della pandemia da Covid 19, tutti i Paesi del mondo occidentale per sostenere le imprese e le famiglie si sono fortemente indebitate in rapporto al Pil. Con l’aumento del debito sovrano a livello internazionale è cresciuta la competizione globale per accaparrarsi risparmio per le crescenti esigenze di emettere nuovi titoli di debito. È anche per questa ragione che i tassi d’interesse sui titoli di Stato si sono mantenuti alti nonostante la riduzione dei tassi di riferimento della Bce e della Fed. Ciò nonostante, i titoli di Stato italiano sono quelli in cui il tasso di rendimento ha avuto la migliore perfomance in Europa. Basti pensare che la Germania, che è la nazione più virtuosa in termini di rapporto debito-Pil, nel 2022 il bund a dieci anni pagava un rendimento dello 0,61 per cento, mentre oggi da una remunerazione del 2,66 percento. I marginali sacrifici, imposti dalle condizioni oggettive di un debito pubblico abnorme, richiesti alle banche, alle compagnie di assicurazione che godono di rendite di posizione, ai gruppi di pressione e ai cittadini saranno compensate negli anni a venire con minori oneri finanziari e meno imposte sul reddito.
Aggiornato il 07 novembre 2025 alle ore 09:51
