 
     Il mercato non chiede auto elettriche: è lo Stato che le impone. Il che comporta che, se dovesse togliere la spina dei sussidi, la “transizione verde” si fermerebbe di colpo.
Le auto elettriche non sono il futuro: sono il presente artificiale costruito a colpi di sussidi. È questa la verità che i governi europei fingono di non vedere. Senza incentivi pubblici, la domanda crollerebbe repentinamente; con essi, cresce solo il debito collettivo. La transizione ecologica, presentata come inevitabile, è in realtà un gigantesco esperimento di ingegneria politica che sostituisce la libera scelta con la pianificazione.
In Italia, il 2025 ha mostrato il paradosso. Dei 950 milioni di euro rifinanziati con gli ecobonus, la parte destinata alle auto a benzina o ibride è andata esaurita in pochi giorni, mentre oltre metà dei fondi riservati ai veicoli elettrici è rimasta inutilizzata. Significa che gli italiani non vogliono un’auto elettrica, se non pagata dallo Stato. E quando il cittadino compra solo perché lo Stato paga, non siamo più nel mercato, ma nel sussidio.
Questo, come appare evidente, non è progresso: è dipendenza. Il sussidio statale non stimola la libertà economica, la corrompe. Trasforma l’innovazione in privilegio fiscale e il contribuente in finanziatore forzato di scelte che non gli appartengono. Emblematico, in proposito, è quanto accaduto in Germania, dove la sospensione degli aiuti nel 2024 ha fatto precipitare le immatricolazioni del 70 per cento in un solo mese. È bastato togliere la spina alla spesa pubblica perché la domanda evaporasse. Non si tratta di un episodio isolato, ma della dimostrazione più chiara che il vero motore dell’elettrico non è la concorrenza, bensì la tassazione.
Il problema non è quindi tecnologico, è invece istituzionale. Finché l’amministrazione statale e il potere politico orientano le preferenze e sovvenzionano i produttori, non può esistere un vero mercato. L’auto elettrica resta costosa, di difficile rivendita, con infrastrutture insufficienti e batterie che valgono più del veicolo stesso. In un sistema libero, il prezzo e la qualità si correggono attraverso la concorrenza; diversamente, in un sistema assistito, il fallimento si perpetua con nuovi fondi pubblici e con l’illusione che la spesa possa sostituire la fiducia.
La Francia, a sua volta, ha spinto oltre la contraddizione: il suo “bonus écologique” è riservato solo ai veicoli prodotti in Europa, in chiave anticinese. Si chiama protezionismo, ma viene venduto come ecologia. Eppure, il mercato unico è nato per abbattere le barriere, non per crearne di nuove. Dove lo Stato decide cosa sia “virtuoso”, la libertà economica muore, e con essa la possibilità di migliorare per merito e non per decreto.
Gli aiuti di Stato, ovunque, sono la prova tangibile che la transizione non è guidata dall’innovazione, bensì dall’imposizione. Se un prodotto serve davvero, non ha bisogno di essere finanziato: lo comprano le persone, non i ministeri. Gli Stati, invece, preferiscono sostituire il giudizio dei consumatori con la propria visione ideologica, come se l’economia fosse una materia da regolare, non una realtà da comprendere.
E i numeri lo confermano. Secondo i dati dell’Acea, le auto elettriche rappresentano oggi il 16,1 per cento del mercato europeo. Questa percentuale non misura il successo della tecnologia, bensì l’estensione dell’intervento pubblico. Dove i sussidi terminano, come nei Paesi Bassi, le vendite si arrestano. È un equilibrio che sopravvive solo grazie al trasferimento di ricchezza da chi lavora a chi produce ciò che lo Stato comanda.
Rebus sic stantibus, bisogna dunque ribadire che, in una società aperta e libera, fondata sull’economia di mercato, l’innovazione nasce dal rischio, non dall’assistenza. Le grandi rivoluzioni economiche — dall’automobile al computer — non sono mai nate da un decreto: sono germogliate dall’audacia di chi ha messo in gioco il proprio capitale per soddisfare bisogni reali. Oggi si pretende di riformare il mondo con la leva fiscale, imponendo una virtù di Stato al posto della responsabilità individuale.
Gli incentivi ai veicoli elettrici non rappresentano il progresso, ma la regressione verso un’economia controllata. Dove la libertà è sostituita dal sussidio, non esiste mercato, bensì amministrazione. E come ogni cosa amministrata, anche questa finirà in perdita.
L’automobile elettrica non è il simbolo del domani: è il segnale di un presente che ha smarrito la fiducia nella libertà e nella forza creativa del mercato.
Aggiornato il 31 ottobre 2025 alle ore 09:59

 
		 