Sguardi liberi e riflessioni su idee, potere, società

a cura di Sandro Scoppa

n. 15/2025 – Una lezione di Ludwing Von Mises: dall’interventismo economico al socialismo

Oggi si discute spesso di regole, controlli e correttivi di mercato. Ma già un secolo fa Ludwig von Mises aveva avvertito che questa apparente via di mezzo non è una soluzione stabile: l’interventismo non salva la libertà economica, la logora fino a cancellarla.

Secondo lo scienziato sociale austriaco, il socialismo non si afferma soltanto con il piano unico di produzione e distribuzione. Può realizzarsi anche con un sistema pervasivo di interventi pubblici che svuotano la proprietà privata. In questo scenario gli imprenditori non agiscono più in base al calcolo economico, operano invece in funzione di ordini politici. La libertà rimane solo formale: i beni appartengono nominalmente ai singoli, ma il loro uso è deciso altrove.

Negli anni Venti questa traiettoria era già chiara. In Unione Sovietica, la Nep introdusse temporanei spazi di mercato per arrestare il collasso produttivo, senza intaccare il potere del partito. In Europa e negli Stati Uniti, i partiti si dividevano non sull’opportunità dell’intervento, bensì sulle relative modalità. Era il segno che l’interventismo stava diventando la regola, pur declinata in forme diverse, e che lo Stato tendeva ad accrescere la propria presa sulla società.

Il pensatore viennese mise in luce un meccanismo implacabile. Ogni intervento, introdotto per correggere un problema, produce effetti inattesi che richiedono nuove misure. Così i controlli sui prezzi creano scarsità e mercati neri, i dazi doganali riducono gli scambi, le manipolazioni monetarie distruggono capitale e fiducia, i salari fissati per decreto aumentano la disoccupazione. Ogni rimedio peggiora la malattia e costringe a un’ulteriore dose di dirigismo. È una spirale senza fine, che restringe progressivamente lo spazio della libertà individuale.

Da questa analisi emergono due vie diverse, seppure convergenti. Da un lato, il socialismo marxista, che si fonda sulla lotta di classe e sul controllo totale della produzione. Dall’altro, il socialismo nazionalista, che proclama la supremazia della collettività e soffoca l’iniziativa dei singoli con una rete di vincoli. Diversi i pretesti ideologici, identico il risultato: la società aperta viene soffocata e l’individuo ridotto a ingranaggio dello Stato.

Queste due forme trovavano un terreno comune nella tradizione della Scuola storica tedesca, che aveva già rovesciato la funzione della proprietà privata, subordinandola al primato della politica e della cosiddetta grandezza nazionale. In questa prospettiva, la titolarità dei beni non garantiva più autonomia: l’individuo veniva assorbito dal collettivo e la proprietà sopravviveva solo come finzione giuridica, utile a consolidare il potere politico. Ecco perché la lezione di Mises resta tanto chiara quanto attuale. L’interventismo non rappresenta un compromesso stabile, costituisce in realtà un processo che erode lentamente la libertà e apre inevitabilmente la strada al socialismo. Anche quando nasce con propositi moderati, svuota la proprietà privata della sua sostanza, riduce la responsabilità individuale e consegna allo Stato un dominio sempre più ampio. È un monito che vale ieri come oggi, in ogni tempo in cui la politica pretenda di sostituirsi alle scelte spontanee degli uomini.

Aggiornato il 13 ottobre 2025 alle ore 09:37