
La crisi del mercato obbligazionario europeo, sulla quale tre anni fa mettevo in guardia e che mi appariva così chiara ed evidente come la scritta biblica sul muro nel Libro di Daniele, è conseguenza del forte calo di fiducia nei governi che ha tolto al debito pubblico la prerogativa di bene rifugio. Il fatto è che si sta arrivando alla fine di questo sistema monetario e finanziario di cui i regimi politici hanno abusato per indebitarsi senza fine in competizione col settore privato promettendogli l’impossibile. Oltre al conseguente e insopportabile carico fiscale che ne è derivato, sono poi entrate sempre più in gioco le crisi sociali, le migrazioni incontrollate, il degrado delle grandi città, il clima ostile di burocrazie in continua espansione e la guerra. Si osservi che la quantità di denaro investita nel mercato obbligazionario è almeno dieci volte quella nel mercato azionario. Quindi una grave crisi nei titoli di stato, porterebbe alla depressione economica. Tipicamente, una crisi del debito sovrano si verifica quando non è possibile vendere nuovo debito per estinguere quello vecchio. È allora che arriva il default.
La prova dell’avvicinarsi di questa svolta è il fatto che Regno Unito e Francia hanno lasciato intendere di aver bisogno di un salvataggio da parte del Fondo monetario internazionale confermando la difficoltà di questi Paesi a emettere nuovo debito per mancanza di acquirenti. Poi c’è la crisi economica della Germania impegnata a trovare una scappatoia nella costituzione per finanziare la guerra all’infinito insieme all’idea di attingere ai beni russi congelati per raccogliere miliardi di euro senza emettere debito. Si vocifera che la Francia abbia già messo le mani nella marmellata accaparrando 71 miliardi di dollari dei 330 in asset russi in mano alla società belga EuroClear. Mentre corre verso la Terza guerra mondiale l’Europa potrebbe presto diventare il teatro di una gara tra default dei Paesi membri, replicando il contagio innescato durante la crisi del debito sovrano nel 2010 quando la corsa al salvataggio della Grecia nell’eurozona si manifestò come un evento sismico rivelando la falla critica dell’unione monetaria: l’inesistenza di un meccanismo per gestire l’insolvenza di uno stato membro.
Sebbene i problemi di ogni paese fossero diversi (l’Irlanda aveva una crisi bancaria, la Spagna una bolla immobiliare, l’Italia una crescita stagnante con un debito elevato), tutti avevano una caratteristica comune: elevati livelli di debito pubblico che li rendevano vulnerabili a un’improvvisa interruzione dei finanziamenti. Di conseguenza, si innescò un Doom loop, il ciclo fatale tra banche sovrane e banche centrali, diventato il canale di contagio cruciale. Poiché nell’eurozona non esiste un debito federale, le banche europee sono obbligate a detenere enormi quantità di debito sovrano di altri Paesi come riserva e ciò che l’allora cancelliere tedesco Angela Merkel non riuscì a capire è che, rifiutandosi di salvare la Grecia, le banche, che possedevano i titoli di Stato greci, avrebbero dovuto affrontare perdite catastrofiche. Ciò avrebbe costretto i governi a salvare le proprie banche peggiorando la propria situazione fiscale. Così indeboliti, i governi avrebbero dovuto indebitarsi a tassi più elevati rendendo il proprio debito meno sostenibile, il che a sua volta avrebbe ulteriormente svalutato i titoli detenuti dalle banche. Questo è appunto il Doom Loop: i problemi di un paese finiscono per infettare direttamente i sistemi bancari e i governi di altri Paesi.
Ma come scocca la scintilla di un contagio? Supponiamo che nell’eurozona erompa la crisi francese. Poiché le banche sono obbligate a detenere come riserva un quarto del debito di ogni paese membro, gli operatori finanziari si guarderanno intorno chiedendosi: “Quale banca ha più debito francese? E venderanno subito allo scoperto quel debito? Subito dopo attaccheranno allo stesso modo tutti gli altri Paesi?”. Ora la differenza con il 2010 è che oggi la Francia non è l’economia più debole ma la seconda più grande in Europa. Quindi le conseguenze di un suo default sarebbero ancora più gravi di quelle della crisi di quindici anni fa. La fragilità dell’architettura finanziaria europea riguarda appunto i debiti sovrani non consolidati ma frammentati che lasciano i sistemi bancari nazionali esposti al contagio (è di questo che i politici italiani dovrebbero preoccuparsi invece degli extraprofitti bancari che sarebbero vaporizzati all’istante in una crisi sistemica). C’è sempre stata un’incapacità totale a comprendere come funzionano i mercati e ora l’Europa è un caso disperato che utilizza cerotti per cercare di riparare ferite che necessiterebbero di un intervento chirurgico a un passo dalla depressione. Cosa può succedere di diverso con una crescita economica vicino allo zero per cento con la Nato che chiede il cinque per cento di spesa per la difesa?
Quando una grande economia vacilla, tensioni diplomatiche e militari non fanno che amplificare il rischio. Passi falsi geopolitici possono innescare una rapida fuga di capitali. L’interazione tra geopolitica e fragilità del debito sovrano suggerisce che il prossimo grande shock potrebbe essere tanto economico quanto politico, costringendo a risposte improvvise e accrescendo la necessità di strategie di salvaguardia. La più importante, per evitare il Doom Loop, è stata già concepita ed è in via di inaugurazione: il controllo dei capitali attraverso l’euro digitale. Lo scopo è quello di cancellare la valuta cartacea per ottenere il controllo assoluto sulla spesa di tutti in Europa, porre fine alle corse agli sportelli bancari, riscuotere il più possibile in tasse, andare in default su tutti i debiti e offrire un reddito di base garantito per sostituire le pensioni che saranno cancellate. Non penso proprio che l’Europa possa durare oltre il 2030.
Aggiornato il 03 ottobre 2025 alle ore 12:40