Sguardi liberi e riflessioni su idee, potere, società
a cura di Sandro Scoppa
13/2025 – destra e sinistra, due parole inutili: il liberalismo è altrove
Nel dibattito pubblico, “destra” e “sinistra” vengono ancora agitate come se avessero un significato vivo. In realtà, sono etichette logore, utili a perpetuare lo stesso approccio al potere: gestirlo, ampliarlo, controllarlo. Cambiano i simboli e le parole d’ordine, ma resta la stessa logica di fondo: un apparato burocratico e invasivo che si alterna nelle mani di gruppi diversi senza mai essere messo davvero in discussione. Il vero spartiacque non è tra partiti, ma tra chi vuole uno Stato che comandi e chi vuole individui liberi di scegliere.
Qui si colloca il liberalismo, che parte da un’idea semplice e radicale: la libertà di scelta dell’individuo può esistere solo se il potere politico è limitato e controllato. Le sue radici affondano nella tradizione occidentale, trovano in Atene la “terra della libertà” e si sviluppano nella tradizione whig inglese e nell’Illuminismo scozzese. Si fonda sul riconoscimento dell’ignoranza e della fallibilità umana: nessuno possiede un punto di vista privilegiato né il diritto di decidere per gli altri. Da qui la necessità di leggi generali e astratte, uguali per tutti, della tutela della proprietà privata e di uno Stato confinato a poche funzioni.
Da questa impostazione nasce il liberalismo classico: governo limitato, uguaglianza degli individui dinanzi alla legge, proprietà privata come spazio di indipendenza e motore della prosperità. Quando gli scambi sono liberi, la cooperazione pacifica produce più benessere della predazione. L’espansione senza limiti del potere statale diventa così una minaccia per la libertà: riduce le scelte, soffoca il confronto critico e compromette la competizione in politica, economia e vita sociale. Come ha spiegato Friedrich A. von Hayek, la competizione non è una lotta di tutti contro tutti, ma un processo che rivela ciò che funziona e ciò che no. Nessun governo dispone di una conoscenza superiore: i suoi rappresentanti sanno meno della somma dei saperi diffusi nella società.
Limitare lo Stato non significa abolirlo. Ludwig von Mises ha infatti spiegato che la prospettiva liberale si riconosce nella difesa della proprietà privata, non nell’avversione allo Stato. Hayek ha aggiunto a sua volta che la coercizione non può essere eliminata, ma ridotta al minimo indispensabile per impedire abusi. Il potere pubblico deve rimanere una funzione di servizio, non sostituirsi alla cooperazione volontaria.
L’anarchismo libertario contesta tale prudenza: se il potere è pericoloso anche in forma minima, perché mantenerlo? Per Murray Rothbard e David Friedman, persino lo Stato minimo viola diritti imponendo tasse e monopoli. Da qui l’anarco-capitalismo: una società senza Stato, in cui legge e sicurezza sono affidate a soggetti privati in concorrenza. L’Islanda medievale ne è l’esempio più citato: capi scelti liberamente, giustizia basata su risarcimenti, nessun potere centrale.
Critici e sostenitori divergono sui rischi, ma un punto è certo: la libertà prospera solo se lo Stato è vincolato, controllato e ridotto. È lì, lontano dalle false dicotomie di destra e sinistra, che si trova il liberalismo autentico.
Aggiornato il 29 settembre 2025 alle ore 10:33