Sguardi liberi e riflessioni su idee, potere, società

a cura di Sandro Scoppa

12/2025 - Rothbard e la Grande Depressione: un disastro creato dalla politica e dallo stato

Murray Newton Rothbard è una delle figure più radicali e coerenti del pensiero economico del Novecento. Economista, storico, filosofo politico, si è sempre mosso con un obiettivo preciso: ampliare la libertà individuale fino a rimuovere ogni funzione dello Stato. Per lui, la coercizione pubblica non è un male necessario da contenere, ma un ostacolo da eliminare del tutto, affidando al mercato la fornitura di ogni bene e servizio.

Il punto di svolta è arrivato nel 1949, quando è entrato in contatto con L’Azione Umana di Ludwig von Mises. Quel libro è diventato la bussola della sua vita: un sistema teorico completo, fondato sull’individualismo metodologico, sulla logica rigorosa e sulla fiducia nel libero mercato. Pur iscritto alla Columbia University, Rothbard ha seguito le lezioni e il seminario di Mises alla New York University, entrando in un ambiente ricco di stimoli e di confronto diretto con economisti di primo piano. È lì che ha consolidato una visione economica e politica che non ammette compromessi. Mises difende lo Stato minimo; Rothbard vuole cancellarlo. Entrambi vedono nel mercato il luogo delle scelte libere e delle opportunità, ma il discepolo porta la critica dell’interventismo fino all’estremo. Per lui, ogni ingerenza pubblica distorce il processo economico, riduce le possibilità individuali e apre la strada a un potere politico sempre più pervasivo.

La Grande Depressione è il terreno su cui il pensatore americano applica la teoria austriaca del ciclo economico. Secondo questa spiegazione, quando le banche centrali abbassano artificialmente i tassi d’interesse, inducono un’espansione illusoria: le imprese investono in progetti ad alta intensità di capitale, senza un reale aumento dei risparmi. Quando la politica di credito facile si interrompe, emergono errori di previsione, i progetti non sono più redditizi, il capitale viene distrutto e la crisi si manifesta in tutta la sua gravità. Rothbard individua nel ’29 non il fallimento del capitalismo, ma il risultato diretto delle politiche della Federal Reserve e dell’interventismo di Herbert Hoover. Prima ancora di Roosevelt, Hoover introduce misure che irrigidiscono il mercato: nazionalizzazioni, tariffe protezionistiche, piani di opere pubbliche, salari bloccati. Ogni intervento impedisce al mercato di correggere rapidamente gli squilibri e prolunga la depressione. La sua condanna dell’“inflazione del credito” è netta: un meccanismo con cui governi e gruppi privilegiati trasferiscono ricchezza dalle mani di chi produce a quelle di chi beneficia delle politiche pubbliche. Per limitare questa dinamica, il pensatore libertario guarda al gold standard come strumento di disciplina monetaria, pur distinguendosi da Mises su alcune questioni filosofiche, come il giusnaturalismo.

Il messaggio che lascia è attuale e scomodo: le crisi più profonde non nascono dal mercato libero, ma dalla presunzione dello Stato di sostituirsi ad esso. Ogni intervento, anche se motivato dalle migliori intenzioni, genera distorsioni che richiedono ulteriori controlli, fino a erodere libertà e prosperità.

Aggiornato il 15 settembre 2025 alle ore 09:41