
Meno annunci non significano meno turismo, ma più scelte individuali
Nell’ estate che sta volgendo al termine i numeri hanno fatto rumore: meno annunci rispetto al 2024, occupazione leggermente più bassa, permanenze più corte. Ma non c’è alcuna “crisi” da agitare a pretesto di nuovi divieti. Appare, piuttosto, un messaggio limpido: quando si alza il costo di usare i beni, i proprietari cambiano strategia e il mercato si riassesta. Nel trimestre giugno-agosto, gli annunci medi attivi sono stati circa 508 mila contro il picco di 522 mila dell’anno precedente, e il tasso di occupazione è scivolato dal 64 al 63 per cento. Un andamento non uniforme: la Sardegna ha retto, mentre Liguria ed Emilia-Romagna hanno perso terreno. Lo ha documentato nei giorni scorsi il Corriere della Sera, basandosi sulle elaborazioni Aigab/Airdna, e altre testate come Il Sole 24 Ore hanno confermato la dinamica.
Chi legge questi dati come prova di un fallimento ignora la sostanza.
Nelle località stagionali e nei borghi, dove i rapporti si costruiscono nel tempo, l’inquilino torna e l’accordo si rinnova senza il tramite dei portali: meno annunci visibili non significano meno soggiorni. A questo si aggiunge l’uso personale delle case, che molti proprietari si sono ripresi, e la scelta di ridurre la dipendenza dalle piattaforme per evitare commissioni e ritenute. Non è una fuga dal diritto, è in realtà il recupero di una libertà contrattuale che il digitale aveva mascherato.
Sul piano fiscale, l’innalzamento dell’aliquota per le locazioni brevi al 26 per cento dal secondo immobile ha ridotto la convenienza e spinto molti a ritirarsi o a preferire formule meno esposte. La legge, in vigore dal gennaio 2024, ha lasciato la cedolare secca al 21 per cento solo sul primo immobile, punendo chi desiderava investire in più unità. È logico che l’offerta si sia ridotta e diversificata. Non è “speculazione”, è calcolo economico: si misura il rendimento netto e si decide di conseguenza. Anche sul fronte burocratico, il Codice identificativo nazionale, entrato a regime nel novembre 2024, ha introdotto passaggi ripetitivi e verifiche che pesano soprattutto sui piccoli, mentre i grandi operatori hanno mezzi per assorbirne i costi.
Nonostante ciò, i prezzi non sono crollati, anzi in molte aree sono saliti, segno che la domanda resta viva e che l’offerta residua recupera margine. È la dimostrazione che il prezzo libero assorbe gli urti meglio di qualsiasi tariffario imposto dall’alto. La diversità dei risultati di questa estate — con alcune regioni stabili, altre in difficoltà e prenotazioni sempre più concentrate all’ultimo momento — dimostra che a determinare l’andamento sono le decisioni dei singoli, non i piani calati dall’alto. È dalla somma di milioni di scelte autonome che nasce il vero equilibrio del mercato. Da anni si ripete che gli affitti brevi rubano case alla residenza stabile. I fatti dicono altro: nelle grandi città l’impatto è inferiore alla narrazione, mentre nelle aree stagionali la messa a reddito delle seconde case tiene vivi borghi e località che altrimenti cadrebbero nell’abbandono. Dove si è provato a contingentare con ordinanze e limiti, il risultato è stato sempre lo stesso: offerta che si assottiglia, prezzi che non scendono, crescita dell’informalità. La pretesa di stabilire quante notti, a quale prezzo e con quali requisiti minimi finisce per produrre scarsità e sfiducia.
Il punto non è quindi costruire nuovi schemi regolatori, è piuttosto ridurre l’attrito. La casa è un bene privato che produce effetti positivi se lasciato agire: genera reddito, induce manutenzione, crea lavori diffusi, aumenta l’attrattiva dei territori. Quando invece è imprigionato in un sistema di aliquote punitive, obblighi ridondanti e sospetti ideologici, esso tende a restare fermo o a spostarsi in canali paralleli. È ciò che si è visto nell’estate 2025: meno esposizione ai portali, più relazioni dirette, uso personale, permanenze più corte e prezzi che riflettono la scarsità relativa.
Se davvero si vuole favorire famiglie e viaggiatori, occorre invertire la logica. Non più un quadro mutevole e vessatorio, occorre stabilità fiscale, regole semplici, procedure snelle e libertà di scelta. Ogni volta che si parla di calmieri o vincoli si dimentica che ciò che pesa non è l’immobile, ma l’intreccio di vincoli e tassazioni. Non si combatte la scarsità con i decreti, lo si fa con più offerta resa possibile da un ambiente amico. E la stessa aumenta solo dove chi investe trova certezza e riconosce che il proprio diritto di proprietà non è considerato un privilegio da tollerare, bensì una libertà da rispettare.
L’ultima estate ha quindi dimostrato che la differenza la fanno sempre le persone. I proprietari che decidono come usare la propria casa e i viaggiatori che scelgono dove andare e quanto spendere compongono il vero equilibrio. Ogni riduzione della libertà lo incrina, ogni apertura lo rafforza. Chi vuole davvero più accessibilità deve desiderare più libertà di costruire, di affittare, di innovare. Tutto il resto — tasse crescenti, registri sovrapposti, controlli invasivi — è il vero lusso che non possiamo più permetterci.
Aggiornato il 03 settembre 2025 alle ore 14:20