Sguardi liberi e riflessioni su idee, potere, società

a cura di Sandro Scoppa

11/2025 - La falsa promessa di Keynes. Il compromesso che uccide la libertà

Nel giugno del 1926, a Berlino, John Maynard Keynes tenne una conferenza destinata a lasciare il segno. Il titolo del suo intervento — La fine del laissez-faire — suonava già come un manifesto programmatico: non per abolire la proprietà privata, ma per imbrigliarla in una rete di regolazioni diffuse e affidate a organismi “semi-indipendenti”. La sua era la promessa di un compromesso: tenere il capitalismo, ma sottoposto a un controllo sociale generalizzato. Un’idea affascinante per chi teme gli eccessi del mercato, ma pericolosa per chi conosce davvero le dinamiche della libertà.

Secondo Keynes, il laissez-faire poggiava su presupposti irrealistici: che il mercato, lasciato a se stesso, potesse autoregolarsi e garantire risultati ottimali. Ma a suo avviso, il libero scambio produceva disuguaglianza e instabilità. Da qui la proposta di una regolazione strutturale dell’economia, non direttamente in mano allo Stato, ma a enti indipendenti: una terza via tra capitalismo e socialismo.

A questa visione rispose, con lucidità e rigore, Ludwig von Mises. In una recensione pubblicata l’anno successivo, lo studioso austriaco demolì punto per punto il progetto keynesiano. Innanzitutto, ricordò che non era affatto nuovo: esperimenti simili erano già falliti in Germania. Poi mise a nudo il vizio di fondo di ogni interventismo: non è la libertà economica a generare crisi, ma l’ingerenza statale. Ogni nuova regolazione deforma il mercato, richiedendo ulteriori interventi, in un ciclo vizioso che conduce inevitabilmente al controllo totale.

Mises osservò anche una significativa omissione nel discorso di Keynes: nessun riferimento al laissez-passer, cioè alla libera circolazione di persone e merci. Un silenzio strategico spiegò, per non urtare il sentimento protezionista di chi ascoltava. Ma proprio il protezionismo — denunciò — è una delle forme più perniciose di interventismo: produce inefficienza, conflitti e impoverimento.

Per Mises, la proposta keynesiana conduceva dritta a una riedizione moderna delle corporazioni medievali: strutture pseudo-autonome che, in nome dell’interesse pubblico, soffocano l’iniziativa individuale. Peggio ancora, l’interventismo economico è la premessa per la perdita delle libertà civili. Non è un caso, ammoniva, che guerre, rivoluzioni, disoccupazione e dittature siano spesso nate proprio da sistemi ostili alla libertà di mercato.

Oggi, a distanza di quasi un secolo, le parole di Mises suonano ancora attuali. I compromessi tra economia libera e regolazione statale vengono presentati come soluzioni equilibrate. Ma la storia insegna altro: quando si cede sulla libertà economica, prima o poi si cede anche su quella politica. E ogni volta che lo Stato interviene, lo fa per restare, espandersi e controllare.

Aggiornato il 03 settembre 2025 alle ore 15:46