Non esiste la Fata Turchina delle infrastrutture

Il presupposto alla base dell’idea che qualsiasi spesa infrastrutturale creerà valore nel lungo periodo è antico e deriva dal fatto che le strade romane costruite duemila anni fa sono ancora visibili dimostrando il valore duraturo di progetti affidabili. Il controllo politico e commerciale romano dipendeva dalle strade e dai trasporti marittimi per tenere unito il vasto impero. Ma nelle civiltà avanzate quel valore economico non è più generato dai megaprogetti di viabilità e di trasporto ma dalle autostrade dell’informazione. Buone strade, ponti, acquedotti, nuove linee ferroviarie sembrerebbero avvantaggiare l’economia e il commercio ovunque esistano. Come potrebbero essere malintesi se sembrano tanto utili? I sostenitori poi ritengono che programmi infrastrutturali aggressivi creano scenari vantaggiosi per tutti riducendo costi e creando posti di lavoro, lasciando magari pure un utile. L’esperienza tuttavia, dovrebbe indurci a mettere in discussione soprattutto i “capolavori ingegneristici”. I grandi programmi governativi infrastrutturali sono sempre dominati dalla regola seguente: non possono essere realizzati senza spreco, frode e abuso poiché i presunti benefici sono selvaggiamente gonfiati minimizzando o distorcendo le stime dei costi.

Un breve riferimento a qualche esperienza storica. La causa del declino economico del Giappone negli ultimi decenni è stato lo spreco infrastrutturale. Dalla fine del boom nel 1990, il Governo giapponese ha cercato di stimolare l’economia con infiniti programmi di “stimolo” della spesa infrastrutturale. Nel 2000, questa spesa aveva raggiunto addirittura il 6,5 per cento del Pil, il doppio della Francia, il secondo paese più dissoluto in tali sprechi. Da quel tempo il Sol levante non si è più risollevato. Di recente la questione dell’utilità delle infrastrutture è emersa in relazione all’iniziativa cinese “Belt and Road”, il cui scopo principale sembra essere quello di legare i Paesi del Terzo mondo alla Cina: l’ammodernamento della ferrovia keniota Nairobi-Mombasa da parte della Cina costato il doppio del dovuto, non ha prodotto alcun ritorno gravando così sull’economia del territorio come una tassa. Creare il Ponte sullo Stretto determinerà valore economico? Molti lo amano. È grande, bello, crea posti di lavoro, riduce i costi eccetera, eccetera. È una situazione vantaggiosa per tutti, un elisir che curerà i mali economici dell’area e oltre, quindi iniziamo subito a costruire! Sbagliato di grosso. Come altri megaprogetti anche questo sarà “un ponte verso il nulla”, perché indotto dalla pressione politica. È il classico esempio di una forzatura di trasferimento di ricchezza per creare benefici politici ma il debito per finanziarlo potrebbe salire alle stelle in modo incontrollabile. Il Ponte sullo Stretto è un’idea fuori tempo, da anni Cinquanta del secolo scorso. Poiché l’area interessata non ha la capacità di assorbire un costo così enorme ha tutte le caratteristiche per agire da tassa sull’economia piuttosto che rilanciarla. Come fa a generare una redditività se il suo costo, sempre pagato dai contribuenti con denaro preso a prestito non si esaurisce una volta completato il progetto ma continuerà per decenni? Non sembra essere un investimento nel nostro futuro ma solo un’altra assurdità pensata per arricchire cartelli clientelari.

Qualsiasi tipo di infrastruttura per la mobilità deve sempre essere valutata univocamente come puro costo il cui valore economico sta nel fornire servizi alle vere attività produttive, proprio come all’epoca romana. Concepita e realizzata con la finalità di volano di sviluppo economico finirà per sottrarre capitali e risorse alla sfera produttiva del Paese. Se un’area territoriale è priva di una potenzialità connaturata per attrarre attività industriali capaci di creare una produttività aggregata per far decollare un grande progetto infrastrutturale, non sarà certo il progetto sponsorizzato di un Governo a fargliela acquisire. Purtroppo non esiste una cosa come la Fata delle Infrastrutture che trasforma magicamente la spesa pubblica in volano di sviluppo. Per un’area geografica. In definitiva, la spesa per le infrastrutture non “crea ricchezza” più di qualsiasi altro tipo di spesa pubblica dove si tratta di prendere soldi da alcuni per darli ad altri. Naturalmente, dopo che gli attori coinvolti avranno preso la loro parte cavandosela abbastanza bene. Il resto di noi non sarà così fortunato. Benvenuti nel meraviglioso mondo degli sprechi infrastrutturali, delle frodi e degli abusi.

Aggiornato il 01 settembre 2025 alle ore 12:28