
Il ministero della Cultura, con una consultazione pubblica, ha avviato l’iter per un documento sulla disciplina dell’aggiornamento dei compensi per la copia privata, che prevede un incremento del 20-25% rispetto ai livelli attuali. Per copia privata s’intende quelle che ciascuno di noi, avendo acquistato un originale, potrebbe fare per sé su un supporto libero. Il genere di cose che si facevano un tempo: chi aveva un Lp a casa, ne trasferiva il contenuto su una musicassetta per ascoltarselo in automobile.
La questione è intricata ma prima di spiegarla saltiamo alle conclusioni: si tratta di un’imposta di dubbia razionalità fin dal momento della sua introduzione, che oggi è completamente priva di un senso che non sia una difesa corporativa fuori tempo massimo. Per questo invitiamo ad aderire alla campagna lanciata da DDay.it per l’abolizione della copia privata.
La storia: tutto inizia una quindicina di anni fa. Dal punto di vista tecnologico, un’era geologica. All’epoca i fruitori dei contenuti protetti da diritto d’autore (dalle canzoni al software) potevano usare supporti fisici, quali pennette usb, hard drive e floppy disk per farne delle copie. Non siamo nel campo della pirateria ma dei comportamenti legittimi. Tuttavia, in principio ogni copia avrebbe dovuto originare un compenso a favore dei titolari dei diritti. Nell’ovvia impossibilità pratica di esigerlo, il legislatore ebbe la bella idea di applicare un prelievo ex ante su ogni supporto fisico (a cui da un certo punto si sono aggiunti pure smartphone et similia) per tenere conto del suo potenziale utilizzo. Questo giocattolo (su cui abbiamo sempre avuto posizioni molto critiche, per esempio qui Pdf e qui Pdf) ha generato un gettito, l’anno scorso, di circa 119 milioni, mentre nel 2025 è atteso un gettito analogo. Tali risorse non vanno allo Stato ma alla Siae, che le ribalta sugli aventi diritto.
Adesso il Comitato consultivo per il diritto d’autore, a cui spetta proporre eventuali aggiornamenti del compenso, non solo suggerisce di adeguare il prelievo all’inflazione (!) ma anche di estendere il balzello al cloud (!!). Si tratta di una manovra indifendibile per radicare ulteriormente una gabella nata male e oggi, nell’epoca dello streaming, del tutto priva di fondamento: nessuno, semplicemente, fa più copie di nulla. Ma allora perché tassare l’acquisto di qualunque supporto potenzialmente utile a svolgere un’operazione superata dalla storia e dalla tecnologia?
Il si tratta di un trasferimento forzoso di risorse dai consumatori a un ristretto gruppo di beneficiari. Se è mai esistita l’idea platonica della rendita, questa ci va molto vicino. Si fa un gran parlare di cancellare gli auto-dazi: cominciamo da questo?
Aggiornato il 27 agosto 2025 alle ore 09:45