Le riforme a costo zero che creano sviluppo

La straordinaria capacità delle imprese italiane di produrre beni di elevata qualità e che ha reso possibile la crescita delle nostre esportazioni all’estero raggiungendo, al 31 dicembre 2024 623,5 miliardi di euro, pari a circa il 29 per cento del Pil 2024 che è stato, in termini nominali, di 2.192 miliardi di euro.

Nella classifica mondiale dei maggiori Paesi esportatori, l’Italia si colloca al quinto posto dopo Cina, Stati Uniti, Germania e Giappone. È possibile che nel 2025 l’Italia possa superare nella classifica il Giappone nonostante l’impatto negativo che, come le altre nazioni, avranno i dazi doganali negli scambi internazionali introdotti dall’amministrazione di Donald Trump. Puntare su nuovi mercati, l’Asia in particolare, per consolidare i risultati, necessita di tempi che necessariamente non possono essere brevi. Per sostenere la crescita della ricchezza nazionale senza ricorrere a maggiore spesa pubblica, che non ci possiamo permettere, occorre incentivare la creazione di nuove imprese in Italia introducendo riforme a costo zero. Tutto deve essere permesso ad eccezione di quanto è espressamente vietato.  

Un governo di centrodestra, che si dichiara apertamente amico delle imprese, non può più disattendere l’urgente necessità di ripristinare la possibilità per tutti di poter intraprendere un’attività imprenditoriale, commerciale o libero professionale eliminando procedure burocratiche che sembrano siano state predisposte per disincentivare gli operatori economici a fare impresa.

Oggi, la propensione innata degli italiani ad affrontare il rischio imprenditoriale è ostacolata da norme e regolamenti che scoraggiano gli imprenditori, in pectore, piuttosto che incentivare la volontà di fare impresa. Aprire un’azienda, è un assioma, ha sempre una elevata componente di rischio che può comportare la perdita del capitale investito e di prestare il proprio lavoro senza ottenere alcuna remunerazione. Le norme, che si sono stratificate nel tempo, hanno reso quasi impossibile l’apertura di piccole attività economiche che anzi hanno favorito solo le grandi imprese.

Altro grave danno per l’economia dell’Italia è il continuo stillicidio di chiusure di attività artigiane e dei negozi commerciali di prossimità che hanno modificato il volto dei centri storici delle nostre città. I negozi ancora aperti sono appannaggio delle grandi imprese della telefonia, di banche e catene di imprese multinazionali. Nelle attuali condizioni normative (burocrazia, requisiti tecnici e adempimenti asfissianti) fare impresa o intraprendere un’attività in Italia è diventato un lusso che in pochi si possono permettere. E i pochi che hanno il coraggio di farlo o sono degli eroi oppure c’è in loro una componente di follia.  I “costi figurativi” che devono sostenere inducono, anche chi è animato da spirito imprenditoriale di preferire il rapporto di lavoro subordinato, magari nello stesso settore, piuttosto che dedicare le proprie energie a costruire qualcosa di proprio.

L’esecutivo, oltre ad una riduzione generalizzata del carico fiscale senza compromettere l’equilibrio di bilancio, può sostenere le imprese eliminando le barriere frapposte dalla amministrazione pubblica semplificando le procedure che devono essere chiare e non suscettibili di “interpretazione” da parte del burocrate che deve rilasciare le prescritte autorizzazioni per l’esercizio di quella specifica attività. Le leggi e i regolamenti devono prevedere termini essenziali (inderogabili) per il funzionario pubblico che deve verificare, senza giudizio di merito, se chi richiede l’autorizzazione o la licenza ad operare abbia ottemperato alle prescrizioni analiticamente richieste per svolgere quella specifica attività (criterio di legittimità). Le norme non possono essere “essenziali” per l’imprenditore e “flessibili” per l’Ente che deve rilasciare il permesso. Le norme che prevedono il cosiddetto “silenzio assenso” possono essere sindacate dal burocrate pubblico.

Liberare, sburocratizzando, chi vuole intraprendere una nuova attività imprenditoriale, dall’assillo dei tempi “flessibili” e dal “giudizio di merito di chi deve rilasciare il permesso, consentirebbe il ritorno alla vocazione imprenditoriale degli italiani. Riforme che non comportano spese per lo Stato ma che sono indispensabili per riportare la crescita economica del Paese.           

Aggiornato il 27 agosto 2025 alle ore 10:51