Sguardi liberi e riflessioni su idee, potere, società
a cura di Sandro Scoppa
n. 8/2025 Dal vizio all’ordine: Mandeville e i moralisti scozzesi
Nel 1714, Bernard de Mandeville pubblica un testo che scandalizza l’Inghilterra. Sostiene che i vizi privati fanno la prosperità pubblica. È una provocazione. Ma anche una scintilla.
Con tono satirico e graffiante, il pensatore olandese rovescia la morale dominante: ciò che appare riprovevole a livello individuale – come il desiderio di guadagno o la ricerca del lusso – può produrre, senza intenzione, effetti benefici sull’intera società. Il suo obiettivo non è difendere il vizio, ma mostrare quanto siano ipocrite e inefficaci le costruzioni morali quando pretendono di guidare l’economia e la convivenza.
Mandeville non giustifica l’immoralità. Smaschera l’ipocrisia di chi crede che l’ordine sociale debba nascere da buone intenzioni.
Secondo lui, dalle passioni individuali – se lasciate libere in un contesto di regole semplici – possono nascere risultati utili per tutti.
Non è un’idea isolata.
In Scozia, pochi decenni dopo, nasce una scuola di pensiero che sviluppa questa intuizione. David Hume. Adam Smith. Adam Ferguson. Tre nomi, tre approcci, una visione comune. La società si organizza non per comando, ma per interazione spontanea. Non servono piani centrali. Serve libertà.
Hume mostra che le regole fondamentali della convivenza – come proprietà, contratto e giustizia – non sono frutto di un decreto politico. Nascono dalla consuetudine. Dall’esperienza. Dalla prova e dall’errore. Nessun architetto ha costruito l’edificio della società. È emerso nel tempo, mattone dopo mattone, grazie alle azioni di milioni di individui.
Smith aggiunge un’altra intuizione. Chi persegue il proprio interesse, in un contesto libero, finisce spesso per contribuire anche all’interesse generale. La cooperazione sociale non ha bisogno di buoni propositi. Ha bisogno di spazio. Di regole generali. Di fiducia negli scambi volontari.
E poi c’è Ferguson. Meno noto, ma lucidissimo. Mette in guardia da un pericolo che oggi conosciamo bene: il dominio della politica su ogni ambito della vita. Secondo lui, le istituzioni più durature non nascono da un progetto. Nascono dal conflitto. Dall’adattamento. Dalla pluralità. E denuncia la pretesa degli ingegneri sociali di costruire popoli nuovi e uomini migliori. Quando lo Stato si sostituisce alla società, distrugge ciò che non è in grado di capire.
In pratica, riconoscere che l’ordine può emergere senza controllo centrale significa rifiutare l’idea che solo il potere sappia cosa è giusto, efficiente o utile. Significa accettare che ciò che funziona spesso non è il risultato di una decisione, ma di una libertà lasciata agire.
Queste idee non sono reliquie del passato. Sono un argine contro ogni forma di pianificazione forzata. Ricordano che la civiltà nasce dalla libertà, non dall’obbedienza. E che nessuna autorità potrà mai sostituire l’ordine che nasce dal basso: dal mercato, dalla cooperazione spontanea.
Aggiornato il 05 agosto 2025 alle ore 09:57