Quando lo Stato zittisce il mercato

Il Consiglio di Stato francese legittima le tariffe imposte: la negoziazione sparisce, resta solo l’obbedienza.

Quando la magistratura asseconda l’arbitrio del potere, la libertà economica non è solo ridotta: è rovesciata. Il 3 luglio 2025, il Consiglio di Stato francese ha infatti stabilito che l’amministrazione pubblica può imporre prezzi fissi ai trasporti sanitari privati convenzionati, anche in assenza di intesa. In particolare, con la decisione n. 480879, ha respinto il ricorso di numerose imprese contro un sistema tariffario rigido, in vigore dal 2018, che consente al potere esecutivo di fissare unilateralmente le condizioni economiche. Le aziende invocavano la libertà contrattuale; la corte ha preferito la ragion contabile. L’Autorité de la concurrence, che aveva già denunciato gli effetti distorsivi della misura, è stata ignorata. Il messaggio è chiaro: la logica del bilancio prevale su quella del diritto.

Nel frattempo, la legge di finanziamento della sicurezza sociale 2025 ha stabilito che, se entro il 30 settembre non verrà raggiunto un accordo con le imprese del settore, l’Assurance Maladie potrà imporre tagli tariffari unilaterali. La sentenza quindi non solo rafforza la norma: ne legittima la filosofia. E la convenzione si trasforma in obbedienza.

Che si tratti di arbitrio e non di tecnica lo conferma anche il punto di vista espresso in più occasioni dall’Autorité de la concurrence. In un suo contributo del 2023 sull’organizzazione dell’offerta sanitaria, la citata Autorità ha segnalato come le tariffe imposte senza margini negoziali e in assenza di concorrenza possano compromettere l’efficienza del sistema, disincentivare l’innovazione e colpire le strutture più piccole. È un giudizio che non entra nel merito di una singola norma, ma che fotografa con chiarezza gli effetti strutturali di un approccio centralizzato: quello in cui il contratto viene svuotato e la libertà economica sopravvive solo se conforme agli interessi della pianificazione pubblica.

Non si tratta di semplici rilievi tecnici. Sono spie di un processo più ampio, in cui la logica del controllo prevale su quella dello scambio. In Francia, come altrove, una parte del trasporto sanitario è affidata a operatori privati convenzionati. Si tratta di imprese che, pur all’interno di un quadro regolato, svolgono un’attività d’impresa, con rischi, costi, investimenti, personale. Ebbene, se l’amministrazione si riserva il diritto di fissare i prezzi da sola, la loro funzione non è più quella di fornitori, bensì di meri esecutori passivi. Il contratto diventa così una finzione, la negoziazione un optional. La concorrenza viene soffocata alla radice, e con essa ogni incentivo all’efficienza, all’innovazione, alla responsabilità.

In buona sostanza, dietro l’apparente razionalità della norma si cela un meccanismo ben noto: l’estensione silenziosa del controllo pubblico. Ufficialmente, lo scopo è contenere la spesa. In realtà, si afferma il principio secondo cui, in nome dell’interesse generale, ogni spazio negoziale può essere sospeso. Già nel recente passato, un simile logica è stata applicata contro i laboratori di analisi e i centri di diagnostica. Oggi tocca agli operatori del trasporto sanitario. Domani a chi?

Quella imposta non è una misura neutra. È una violazione deliberata della libertà di stabilire rapporti economici su base volontaria. Una volta accettato che il potere pubblico possa definire da sé le condizioni economiche di una prestazione privata, non esistono più confini. La contrattazione viene sostituita dal decreto, la concorrenza dalla concessione, la scelta dal vincolo. Chi si adegua resta nel sistema; chi resiste, viene invece escluso.

Le associazioni di categoria parlano di “violazione del dialogo convenzionale”. Una formula che coglie solo in parte la gravità del quadro: il problema è sistemico e riguarda la stessa possibilità di negoziare in condizioni di libertà. La libertà d’impresa non si esaurisce nel diritto di esistere: è la possibilità concreta di scegliere con chi lavorare, come operare, a che prezzo offrire un servizio. Se tutto questo viene deciso altrove, l’impresa è tale solo di nome. È una funzione dell’autorità pubblica, non un soggetto autonomo.

Il caso francese non è comunque isolato. Rientra in una dinamica che si diffonde in ogni settore. Dai tetti agli affitti ai vincoli edilizi, dai bonus condizionati alle restrizioni fiscali, dalla pianificazione energetica alle soglie patrimoniali, ogni dispositivo diventa leva per ridurre l’autonomia e ampliare la sorveglianza. Si parla di sostenibilità, di equità, di efficienza: il risultato è però sempre lo stesso, meno libertà, più controllo!

Non è un incidente: è un disegno coerente. Svuotare di senso il contratto, ridurre la concorrenza a concessione, trasformare l’attività economica in esercizio subordinato. E tutto questo avviene senza conflitto, senza clamore, spesso con il consenso passivo di chi avrebbe il compito di opporsi. Quando la libertà viene compressa un passo alla volta, diventa routine. E quando diventa routine, nessuno la reclama più.

La libertà economica non è un privilegio riservato ai tempi floridi. È il fondamento di un ordine civile in cui lo scambio volontario prevale sull’imposizione. Se i prezzi sono fissati per legge, non c’è più cooperazione, ma ordine. Se il contratto è unilaterale, non c’è più accordo, ma subordinazione. Se l’impresa può agire solo con autorizzazione, allora non è più libera, ma tollerata. E una libertà tollerata non è una libertà.

Per tutti i motivi indicati, la vicenda francese non deve essere sottovalutata. Non perché sia eclatante, ma proprio perché non fa rumore. È così che si consolida il dominio: con leggi, sentenze, regolamenti. E alla fine ciò che rimane è un sistema in cui ogni attività è condizionata, ogni impresa filtrata, ogni decisione vigilata. Un’economia senza scambio. Una società senza scelta. Un ordine in cui l’autonomia privata sopravvive solo se compatibile con l’obbedienza.

Aggiornato il 14 luglio 2025 alle ore 13:26