Sguardi liberi e riflessioni su idee, potere, società
a cura di Sandro Scoppa

n. 2/2025 Croce, Einaudi e il grande equivoco italiano

C’è un errore antico, ma ancora vivo: pensare che la libertà politica possa esistere anche senza quella economica. È un’illusione tutta italiana, alimentata da una tradizione culturale che, da Benedetto Croce in poi, separa l’etica della libertà dalle sue basi materiali.

Croce, il cui pensiero è rimasto profondamente segnato dalla matrice idealista e hegeliana, interpretava il liberalismo come un atteggiamento etico, quasi come una religione laica. Ma in questa visione, la libertà appare come un valore astratto, slegato dall’economia. Secondo il filosofo partenopeo, anche un ordinamento comunista, senza proprietà privata, avrebbe potuto teoricamente convivere con la libertà morale e politica. Un’affermazione che, alla luce della storia, resta difficile da difendere.

A questa impostazione si è opposto Luigi Einaudi. Per lui, la libertà non era un’idea morale disincarnata, ma una condizione concreta, costruita attraverso istituzioni, leggi, e soprattutto mercato. Dove lo Stato si sostituisce all’individuo nelle scelte economiche, la libertà è destinata a essere soppressa. Senza proprietà privata, senza concorrenza, senza contratto, non può esserci spazio per l’autonomia personale.

Ed è qui che si inserisce una distinzione tanto diffusa quanto fuorviante: quella tra liberalismo e liberismo. Nella cultura italiana, molti usano la prima parola per indicare le libertà civili e la seconda per parlare — spesso con disprezzo — di libero mercato. Ma questa separazione è artificiale. Il liberalismo autentico include anche la libertà economica. Non si limita a difendere la libertà di espressione o di voto, ma tutela anche quella di possedere, scambiare, scegliere come vivere. Ridurre il liberismo a una deviazione del liberalismo significa svuotare la libertà della sua dimensione concreta. La concezione crociana, tutta incentrata su una visione spirituale e intellettuale della libertà, ha trascurato le necessarie condizioni istituzionali ed economiche che la rendono effettiva. In questo vuoto teorico si è inserita una cultura statalista, che oggi torna con forza. Si tassano le case inutilizzate, si limitano gli affitti brevi, si invoca la redistribuzione forzata. Tutto in nome di un presunto “bene comune” che pretende di giustificare qualsiasi esproprio. Ma colpire la libertà economica significa, sempre, colpire la libertà tutta intera.

Lo avevano capito già Harrington e Bernier nel Seicento: dove manca la proprietà privata, arriva la tirannia. Lo dimostra la storia del Novecento. E lo hanno ripetuto per decenni Mises e Hayek: libertà economica e libertà politica non sono separabili. O si tengono insieme, o si perdono entrambe.

Ecco perché, ora più che mai, serve una visione piena del liberalismo. Una visione che non riduce la libertà a sentimento, ma la difende come istituzione. Perché senza la libertà di possedere, scegliere, intraprendere... la libertà resta solo una parola.

Aggiornato il 24 giugno 2025 alle ore 18:34