
Il fisco come il lupo di Fedro: ignora la legge, inventa pretesti e punisce l’innocente che ha ragione.
“Ad rivum eundem lupus et agnus venerant, siti compulsi” (“Il lupo e l’agnello, spinti dalla sete, erano giunti allo stesso ruscello”). Così si apre una delle favole più note e amare di Fedro, l’autore latino di origine macedone vissuto sotto l’impero di Tiberio, noto per aver adattato in versi latini le favole greche di Esopo, trasformandole in strumenti di critica morale e politica. La favola poi prosegue. Il lupo, postosi a monte, accusa l’agnello di intorbidargli l’acqua. Quest’ultimo gli fa notare che, essendo più a valle, ciò non è possibile. Allora il rapace insiste: “Ante hos sex menses male ‒ ait ‒ dixisti mihi” (“Sei mesi fa mi hai insultato”). L’altro replica innocentemente che allora non era ancora nato: “Equidem natus non eram!” (“Veramente... non ero ancora nato!”). Ma il predatore non cerca giustificazioni: “Pater, hercle, tuus - ille inquit - male dixit mihi!” (“Per Ercole! Tuo padre ‒ disse il lupo ‒ ha parlato male di me!”).
E così lo afferra e lo sbrana, infliggendogli una condanna ingiusta, fondata solo sulla prepotenza. Quando il potere non vuole sentire ragioni, la verità non conta: l’innocente è colpevole per definizione. È l’arbitrio che si traveste da giustizia. E nella selva fiscale italiana, questa favola è oggi drammaticamente attuale.
Accade, ad esempio, con la questione della cedolare secca, una misura introdotta per semplificare la tassazione delle locazioni abitative e favorire la trasparenza. La legge consente alle persone fisiche di optare per questo regime agevolato quando affittano immobili a uso abitativo. Ebbene, da anni l’Agenzia delle Entrate nega l’applicazione nei casi in cui il conduttore sia un’impresa o un professionista, anche se l’immobile è utilizzato effettivamente come alloggio, per esempio da un dipendente o da un dirigente. Non c’è una norma che imponga questa esclusione. Eppure, l’opzione viene bloccata automaticamente dal software Rli, rendendo impossibile l’adempimento. Non è la legge che parla, ma un algoritmo. E il cittadino, come l’agnello, si ritrova senza voce.
La giurisprudenza è intervenuta più volte nel tentativo di fare chiarezza e ristabilire il rispetto della legalità. Oltre a numerose decisioni dei giudici tributari, è particolarmente rilevante la sentenza n. 12395 del 2024 della Corte di Cassazione, che ha stabilito come il conduttore possa anche essere un soggetto economico, a condizione che il locatore sia una persona fisica e l’immobile sia adibito a uso abitativo. Tale orientamento è stato successivamente ribadito e consolidato dalle sentenze n. 12076 e n. 12079, entrambe emesse il 7 maggio 2025. Nel primo caso, i giudici di legittimità hanno riconosciuto la legittimità della cedolare secca anche quando il conduttore è una fondazione, se l’uso dell’immobile è abitativo (nel caso concreto, per il presidente della fondazione). Nel secondo, ha confermato che anche una società può essere inquilina legittima, se l’immobile è destinato ad abitazione dell’amministratrice. In entrambe le sentenze, gli ermellini hanno ribadito che il limite posto dalla legge riguarda il locatore – che non deve agire in qualità di imprenditore – non il conduttore.
Tuttavia, nulla è cambiato nella prassi. Il sistema informatico non è stato aggiornato. Gli uffici continuano a rigettare le opzioni. Il contribuente è costretto a scegliere tra mentire per aggirare il blocco oppure rinunciare a un diritto. Il software ha preso il posto del legislatore. L’arbitrio si è fatto digitale. Come nel racconto di Fedro, non si ascoltano le ragioni: si cerca solo un pretesto per colpire.
Questo atteggiamento non è isolato. Si è già visto con le plusvalenze su immobili A/10 usati come abitazione principale, negate dall’Agenzia e poi riconosciute dalla Cassazione. O con la deducibilità degli interessi passivi per mutui su immobili dati in locazione, che l’amministrazione ha cercato di restringere, salvo essere smentita dalle sentenze dei giudici della medesima suprema corte. È una strategia costante: restringere gli spazi della libertà, anche contro la legge.
La cedolare secca, nata per favorire la legalità, è così diventata un privilegio condizionato. Si colpisce chi vuole agire in trasparenza. Si scoraggiano le imprese che cercano soluzioni abitative per i propri dipendenti. Si riduce l’offerta di case in affitto. Si crea un danno sociale, oltre che giuridico. Lo Stato, invece di rispettare la legge, la interpreta contro il cittadino. Non si limita a esigere imposte: le impone secondo logiche arbitrarie, trasformando l’amministrazione in un potere senza limiti.
Bruno Leoni ha scritto che il diritto, per essere compatibile con la libertà, deve precedere e limitare il potere politico, non derivare da esso. Un sistema giuridico che non limiti il potere è un sistema che non garantisce la libertà individuale.
Anthony de Jasay, dal canto suo, ha osservato che la tassazione è un atto coercitivo, e dovrebbe essere l’autorità a fornire le ragioni del suo uso, non il cittadino a spiegare perché ne è esente. Ma in Italia accade il contrario. L’onere della prova è rovesciato. La libertà fiscale è vista come un’anomalia. E ogni agevolazione come una concessione che può essere revocata per via interpretativa.
Per questo le pronunce del supremo consesso giurisdizionale devono essere non solo rispettate, ma fatte valere. Perché tutelano un principio che vale per tutti: la legalità. E perché affermano, contro l’arbitrio, che le parole hanno un senso, e la legge un valore.
Fedro, alla fine della favola del lupo e dell’agnello, conclude con una frase che è un monito senza tempo: “Haec propter illos scripta est homines fabula, qui fictis causis innocentes opprimunt” (“Questa favola è stata scritta per quegli uomini che opprimono gli innocenti con falsi pretesti”). Ecco: finché il fisco continuerà a comportarsi così, non saremo in uno Stato di diritto, ma dentro quella favola. Con la differenza che, stavolta, il lupo porta il logo dell’Agenzia delle Entrate.
Aggiornato il 12 maggio 2025 alle ore 10:56