Quando Musk tira le orecchie a Trump

Una lezione di economia

Gli piace tanto Elon Musk a Donald Trump. Lo stia a sentire, per una volta che parla con criterio. Sui dazi, dico, non sul resto. Sempre che Trump l’abbia capita davvero, Musk, seppur pro domo sua, gli ha fatto impartire una lezioncina sugli scambi internazionali da un Maestro dell’economia e perciò della politica, nel più alto significato, che forse sfugge ad entrambi. Nel pieno della bufera scatenata dal protezionismo daziario del presidente degli Stati Uniti, il colpo più masochistico mai inferto all’America da chi pretende di rifarla grande, il suo ministro per l’efficienza amministrativa, Elon Musk, ha messo in onda (l’onda social, beninteso!) un vecchissimo breve filmatino in bianco e nero nel quale Milton Friedman (fattosi da sé nel ramo sapere fino al premio Nobel quanto Musk nel ramo imprenditoria fino ai miliardi di dollari) spiegava con sorprendente semplicità, in modo comprensibile anche da un bambino, come avvenga la cooperazione attraverso lo scambio volontario e perché costituisca una condizione necessaria sia per la libertà che per la prosperità. Il filmato, come dicono in gergo, è diventato subito virale, anche perché Musk tirava le orecchie a Trump. Il tema costituisce il fondamento dell’economia.

Mi pare assai opportuno ricordare per intero la fonte originale dell’Autore. Poiché fatta a fin di bene, mi sarà perdonata la lunga citazione, che traggo da Milton e Rose Friedman, Liberi di scegliere, Longanesi, Milano, 1981, traduzione di Giuseppe Barile, pagina 16: “Un delizioso racconto intitolato Io, la matita: il mio albero genealogico come l’ho raccontato a Leonard E. Read rappresenta vividamente la maniera in cui lo scambio volontario consente a milioni di persone di cooperare tra loro. Il signor Read, che dà voce alla matita di grafite, la comune matita di legno ben nota a tutti i ragazzi e agli adulti che sanno leggere e scrivere, inizia la sua storia con l’incredibile affermazione nessuna persona singola sa come farmi. Poi procede parlando di tutte le cose che entrano nella fabbricazione di una matita. Innanzitutto, il legno proviene da un albero, un cedro dalla venatura diritta che cresce nella Carolina del Nord e nell’Oregon. Tagliare l’albero e trasportare i tronchi fino al raccordo ferroviario sono operazioni che richiedono seghe e autocarri e funi e un’infinità di altre attrezzature. Molte persone e innumerevoli conoscenze professionali contribuiscono alla loro fabbricazione: nell’estrazione del minerale, nella produzione di acciaio e nella sua trasformazione in seghe, asce, motori; nella coltivazione della canapa e nella sua trasformazione, attraverso fasi diverse, in pesanti e robuste funi; negli accampamenti per il taglio del legname con le loro sistemazioni per mangiare e dormire, per non parlare delle migliaia di persone che stanno dietro ogni tazza di caffè bevuta dai taglialegna”.

“Il signor Read prosegue con la consegna dei tronchi alla segheria, il lavoro di segatura per ridurre i tronchi in assicelle e la spedizione delle assicelle dalla California a Wilkes-Barre, dove fu prodotta la matita che racconta la storia. Ma giunti a questo punto abbiamo solo la guaina di legno della matita. La mina nasce come grafite estratta dalle miniere di Ceylon. Numerose e complicate lavorazioni la trasformano nel cilindretto di materiale scrivente che sta al centro della matita. Il pezzetto di metallo, la ghiera, vicino al fondo della matita è di ottone. Pensa a tutte le persone che lavorano nelle miniere di zinco e rame, dice il signor Read, e a quelle che sanno trasformare questi prodotti della natura in lamiere sottili. In fondo alla matita c’è poi il gommino per cancellare. Si crede che sia gomma, ma il signor Read ci spiega che la gomma serve solo come legante. Il gommino è fatto in realtà di factice, un prodotto simile alla gomma ottenuto facendo reagire olio di semi di ravizzone proveniente dall’Indonesia con cloruro di zolfo. Dopo tutto questo, dice la matita, qualcuno vuole ancora mettere in dubbio la mia affermazione iniziale che sulla faccia della terra non c’è nessuno che sappia fabbricarmi da solo?

L’osservazione conclusiva di Friedman a riguardo è fondamentale: “Nessuna delle migliaia di persone coinvolte nella produzione della matita ha svolto il suo compito perché voleva una matita”. La matita ha potuto esser prodotta nell’interesse dei consumatori grazie al fatto che un numero imprecisato di persone sconosciute ha potuto cooperare scambiando liberamente la merce che domandava e offriva. Le parti di ciascuno scambio nella catena delle transazioni hanno tratto beneficio dalla compravendita. Nelle parole di Friedman: “Finché la cooperazione è rigorosamente volontaria, nessuno scambio avrà luogo senza vantaggio per entrambe le parti”. E ciò vale sia nel mercato interno che nel commercio internazionale. L’uno è inestricabilmente legato all’altro, sicché, quando cadono sotto la “tirannia dei controlli”, la conseguenza è immancabile: “I guadagni che qualche produttore riceve dai dazi o altre restrizioni sono più che compensati dalle perdite degli altri produttori e soprattutto dei consumatori in genere. Il libero scambio non solo favorisce il nostro benessere materiale, ma incrementa la pace e l’armonia tra le nazioni e dà impulso alla concorrenza interna”.

In tutta franchezza, sono portato a credere che Trump non l’ha letto un pensatore del calibro di Friedman, che pure ha influenzato enormemente l’opinione pubblica americana che portò all’elezione del presidente Ronald Reagan. Musk invece se ne è ricordato sol perché gli fa comodo contro le misure trumpiane che gli fanno perdere miliardi di dollari, direttamente e indirettamente. Stando ai dazi, lesivi per gli altri ma non per lui, resta il fatto che al presidente Trump si attagliano le immortali parole di Pogo, il personaggio dei fumetti evocato da Friedman a proposito degli interessi particolaristici che prosperano all’ombra del protezionismo daziario: “Abbiamo incontrato i nemici: loro siamo noi!”

Aggiornato il 18 aprile 2025 alle ore 12:07