
Dietro il “diritto all’abitazione” si nasconde l’ennesima utopia che distrugge il mercato e mortifica la libertà
Quando si parla di casa, in Italia, c’è sempre qualcuno pronto a evocare lo Stato come soluzione a ogni problema. L’ultima a farlo è Valeria Genesio, presidente di Agedi – società specializzata nella consulenza immobiliare – che recentemente, in un intervento sulla stampa, ha proposto una serie di interventi pubblici finalizzati a garantire il cosiddetto “diritto all’abitazione”. Un’idea affascinante in teoria, ma disastrosa nella pratica.
L’impostazione è quella classica del pensiero dirigista: la casa sarebbe un diritto universale da assicurare per legge, indipendentemente dalle dinamiche economiche e dal rispetto della proprietà privata. È una visione che non tiene conto di decenni di fallimenti dell’interventismo statale nel settore immobiliare, culminati nel socialismo abitativo, e che ignora come solo la libertà economica, la certezza giuridica e gli incentivi agli investimenti privati possano davvero ampliare l’offerta di alloggi.
Non stupisce, dunque, che la proposta della dirigente di Agedi consista nell’imporre agli investitori immobiliari l’integrazione obbligatoria di residenze sociali all’interno delle strategie Esg. Una forzatura ideologica che pretende di scaricare sul risparmio privato il fallimento di politiche pubbliche inefficaci. Ancora una volta, lo Stato crea il problema e poi pretende che siano i cittadini a risolverlo, pagandone le conseguenze.
Com’è noto, il mercato immobiliare italiano opera già in uno dei contesti regolatori più ostili d’Europa. Contratti rigidi, durata imposta, tassazione crescente, procedure di sfratto interminabili: non sorprende che molti proprietari abbiano abbandonato le locazioni tradizionali, preferendo formule più flessibili o, in molti casi, lasciando gli immobili sfitti.
Tutto ciò è il risultato di un errore di fondo: l’illusione che la casa possa essere un diritto garantito per decreto, quando invece è – e rimane – il frutto di risparmio, investimento e assunzione di rischio. Dove manca tutela della proprietà privata e la libertà contrattuale è compromessa, il mercato non funziona. È una legge economica elementare, che nessun proclama ideologico può sovvertire.
Nella proposta della medesima Genesio emerge anche un paradosso evidente: mentre si denuncia la “finanziarizzazione” dell’abitare, si chiedono misure che rendono sempre più difficile investire nel settore immobiliare. Penalizzare chi affitta, colpire chi possiede, disincentivare chi costruisce non significa aiutare chi cerca casa; significa, al contrario, ridurre l’offerta, aumentare i prezzi ed escludere i più deboli.
Chi invoca l’intervento dello Stato nel settore abitativo dimentica che ogni vincolo, ogni imposizione normativa o fiscale finisce per scoraggiare proprio gli investimenti indispensabili a colmare il fabbisogno abitativo. In un contesto di incertezza giuridica e di aggressione fiscale permanente, il risparmio si ritrae, gli investitori fuggono, i capitali si dirigono altrove. Ma il dirigismo immobiliare sembra ostinarsi a non volerlo comprendere.
Non a caso, le città europee più colpite dalla crisi abitativa sono proprio quelle dove l’interventismo pubblico ha raggiunto i livelli più alti: Berlino, Barcellona, Parigi, Amsterdam. Lì, le politiche di controllo dei prezzi, di limitazione degli affitti brevi o di requisizione degli immobili sfitti hanno prodotto risultati opposti a quelli dichiarati. Meno case disponibili, più degrado, più abusivismo. Dove lo Stato si sostituisce al mercato, prosperano solo illegalità e clientelismo.
Anche gli incentivi fiscali selettivi o gli affitti calmierati, spesso presentati come soluzioni moderne, finiscono per alterare il mercato e gonfiare la spesa pubblica. Ogni intervento statale crea nuove dipendenze, nuovi squilibri e sposta risorse da chi produce a chi pretende.
Né è corretto invocare i dati sull’aumento dei senzatetto in Europa – cresciuti del 70 per cento negli ultimi dieci anni – come prova della necessità di un maggiore intervento pubblico. Al contrario, i numeri prima menzionati dimostrano il fallimento delle politiche attuate. I pochi esempi virtuosi – come la Finlandia – si distinguono non per aver moltiplicato regole e sussidi, ma per soluzioni pragmatiche che responsabilizzano gli individui, senza sottometterli a burocrazie oppressive.
In definitiva, la visione proposta dal citato presidente Agedi riflette una mentalità che considera il privato un bersaglio da colpire e lo Stato l’unico garante del bene comune. E ciò nonostante la storia insegni l’opposto: solo un mercato libero, fondato sulla certezza del diritto e sull’iniziativa privata, è in grado di rispondere efficacemente ai bisogni della società.
Le vere riforme abitano altrove. Servono deregolamentazione, giustizia civile rapida, fiscalità leggera e valorizzazione del risparmio immobiliare. Solo in un contesto di libertà, la casa potrà tornare ad essere accessibile, sostenibile e diffusa.
Come ha scritto Alexis de Tocqueville, osservatore lucido dei pericoli dello statalismo: “Lo Stato che cerca di fare troppo per i cittadini finirà per farlo male e per distruggere in essi la responsabilità individuale”.
Nulla di più attuale. Nulla di più ignorato da chi, in nome di un diritto astratto, continua a demolire le basi reali della convivenza civile: la libertà e la proprietà.
Aggiornato il 16 aprile 2025 alle ore 09:41