Case vuote, libertà spente

Con l’alibi della tutela dei centri storici, Roma e Firenze avviano una nuova stretta dirigista che colpisce i diritti dei proprietari e ignora la domanda reale del mercato.

Mentre la domanda turistica continua a crescere e la società evolve verso forme sempre più flessibili di ospitalità, alcune amministrazioni locali si muovono in direzione contraria, adottando misure restrittive che mortificano il diritto di proprietà e soffocano l’iniziativa privata. È il caso di Firenze, che ha recentemente modificato gli strumenti di pianificazione urbanistica per impedire la presenza di affitti brevi nella zona centrale della città, quella più attrattiva per i visitatori. Contestualmente, è stato introdotto un sistema regolatorio dettagliato che impone criteri rigidi per poter affittare: metrature minime per ogni locale della casa, limiti dimensionali per camere e servizi, obblighi di idoneità strutturale. Il tutto accompagnato da un nuovo registro, autorizzazioni quinquennali e controlli capillari condotti da squadre dedicate.

Anche la Capitale si muove su binari analoghi, prevedendo modifiche al piano regolatore che introducono nuove classificazioni per le abitazioni con finalità ricettiva e pongono barriere all’adattamento di immobili a queste destinazioni, in particolare nelle aree di maggiore pregio storico-artistico. Le nuove norme preannunciano un quadro normativo ancor più severo, destinato a regolamentare – o meglio, a limitare – non solo l’uso degli immobili ma anche l’avvio di specifiche attività legate al soggiorno temporaneo.

Bologna e Venezia si sono già inserite nel medesimo solco: la prima creando una categoria urbanistica ad hoc per scoraggiare il ricorso agli affitti brevi attraverso requisiti disincentivanti, la seconda imponendo a chi affitta oltre un certo periodo una serie di adempimenti che trasformano una semplice attività gestionale in un percorso a ostacoli fatto di burocrazia e oneri.

In questo contesto si delinea una strategia evidente: scoraggiare la diffusione delle locazioni turistiche mediante appesantimenti normativi, vincoli formali e costi impliciti, fino a renderle impraticabili. Non ci si limita a disciplinare, ma si punta a dissuadere, quando non a vietare apertamente. Il risultato è che l’utilizzo dell’immobile viene subordinato a una serie crescente di permessi, requisiti tecnici, verifiche e scadenze, che trasformano un diritto naturale in una concessione amministrativa. Non bastava lo Stato regolatore, ora arriva anche il Comune sceriffo, pronto a multare, ispezionare, schedare, autorizzare a tempo determinato l’uso della casa propria, come fosse un favore concesso dall’alto.

È una impostazione, quella sopra descritta, che non solo genera danni economici evidenti ma presenta anche profili giuridici assai critici. Le trasformazioni obbligatorie della destinazione d’uso, ad esempio, spesso comportano interventi materiali e modifiche di struttura che sono onerose e difficilmente reversibili. In molti casi, il costo di riportare un immobile allo stato precedente è tale da rendere il cambiamento irreversibile nei fatti. Così facendo, si inchioda il bene a una funzione imposta, privando il proprietario della libertà di adattarlo alle mutate condizioni del mercato o alle proprie esigenze personali o familiari.

Oltre all’aspetto tecnico, a destare preoccupazione è il principio sottostante. Si afferma, infatti, in modo sempre più esplicito, che la titolarità di un bene non coincide più con la libertà di disporne. Il proprietario diventa un mero gestore condizionato, sottoposto al controllo e al consenso dell’autorità pubblica, la quale si arroga il potere di stabilire cosa si possa o non si possa fare all’interno di uno spazio privato. Siffatta logica amministrativa, che si fa sempre più invasiva, si fonda su una concezione collettivista della città, dove l’interesse del singolo viene costantemente subordinato a una presunta esigenza collettiva, per lo più indefinita e non verificabile.

È un ribaltamento dello stato di diritto. Non si nega esplicitamente il diritto di proprietà, ma lo si svuota nella sostanza, tramite una miriade di prescrizioni e ostacoli. E ciò avviene spesso senza un confronto serio sugli effetti reali delle misure adottate: si presuppone che vietando gli affitti brevi si libereranno alloggi per i residenti, ma si dimentica che l’immobilismo non genera automaticamente affitti stabili. Anzi, molti immobili finiranno per restare inutilizzati, perché i proprietari – scoraggiati da costi e rischi – preferiranno lasciarli vuoti piuttosto che affrontare un labirinto normativo.

Il danno è doppio: si danneggia il proprietario e si impoverisce la città. Si uccide la dinamicità di quartieri un tempo vitali, si scoraggia l’accoglienza, si restringe l’offerta e si crea artificialmente scarsità. In nome della “protezione del centro storico” si costruisce, in realtà, un modello statico, inospitale, chiuso.

Friedrich A. von Hayek lo aveva già scritto: “Il sistema della proprietà privata è la più importante garanzia di libertà, non solo per coloro che possiedono proprietà, ma quasi altrettanto per coloro che non ne possiedono”.

Togliere ai proprietari questo potere, significa svuotare di senso quel diritto. E quando la proprietà è condizionata dall’arbitrio politico, la libertà stessa è in pericolo. E con essa, l’anima viva delle città.

Aggiornato il 14 aprile 2025 alle ore 10:51