Interconnessione generazionale e responsabilità

Breve riflessione sui passaggi generazionali d’azienda

Qualche giorno fa parlavamo con un amico, affermato commercialista, di una sua società cliente nella quale il passaggio generazionale, che all’apparenza sembrava filare liscio, era in realtà ad un punto molto critico e sull’orlo di saltare con tutte le negative conseguenze del caso. Purtroppo, le sue preoccupazioni si sono trasformate in realtà.

Il problema principale non era il tecnicismo da adottare quanto più l’intervenuta totale chiusura da parte dei principali soggetti coinvolti: vecchia guardia e nuova guardia.
Ognuno voleva fare di testa sua rifiutando le idee ed i modi di fare dell’altra parte.
Questa problematica, comune in molte realtà imprenditoriali, pone lo spunto per fare una serie di riflessioni.  Ci concentreremo principalmente su due di esse: la prima è che nelle piccole realtà un passaggio generazionale ha successo solo se le generazioni coinvolte decidono di coesistere lavorando in modo interconnesso, lasciando eventuali tensioni fuori dalla vita aziendale; la seconda riguarda le inevitabili conseguenze che la cessazione di un’attività, ancorché storica, porta con sé sul sistema economico.

Spesso, come professionisti, ci troviamo coinvolti in richieste di clienti che tentano di passare la mano ai propri eredi ponendo domande e focalizzando la propria attenzione (e le relative richieste) sugli aspetti tecnici da utilizzare. Al contrario, deve essere ben chiaro che la soluzione tecnica rappresenta l’ultimo dei problemi. Recarsi dal notaio per donare le quote della propria società ai figli, piuttosto che costituire holding o trust, sono solo alcuni metodi che la tecnica professionale ci mette a disposizione. L’elemento focale su cui porre l’attenzione, però, è ben differente e deve riguardare le aspettative di tutte le parti coinvolte, ognuna delle quali, nel caso, deve essere disposta a fare un piccolo passo indietro per un bene superiore: l’esistenza in vita della propria azienda.

Poniamo quindi l’attenzione sulla prima riflessione. È indubbio che le conflittualità generazionali sono alla base dell’insuccesso di un passaggio generazionale. Stesso discorso si può fare in tema di resistenza al cambiamento. Le conflittualità trovano spesso origine dalla “fusione” tra le dinamiche familiari con quelle aziendali, trasportando sul lavoro le tensioni sorte tra le mure di casa. In questi casi è certamente importante il dialogo ma alla base deve esserci l’ascolto, la condivisione, la consapevolezza e soprattutto l’apertura al cambiamento. In assenza di tali elementi il passaggio si realizzerà con molte difficoltà o non si realizzerà affatto.

L’affermazione “azienda diversa da famiglia” deve essere un assioma che guida l’imprenditore ed i suoi eredi nell’arco della vita aziendale. Un buon imprenditore deve adoperarsi per creare valore, attuale ma soprattutto futuro, nella propria azienda con comportamenti virtuosi che permettono un accrescimento della ricchezza patrimoniale aziendale e non un suo depauperamento. Ma la ricchezza futura deve superare i normali limiti economici proiettandosi verso una creazione di valore in termini di competenze e di professionalità degli eredi, riconoscendo allo stesso tempo i loro eventuali limiti. Elemento fondamentale diviene la coesistenza tra le generazioni coinvolte previa una comune accettazione: la vecchia e la nuova guardia devono inevitabilmente coesistere e lavorare in modo interconnesso.

La seconda riflessione riguarda i negativi effetti che la morte di un’attività imprenditoriale porta con sé. Un’azienda, infatti, deve essere vista come un piccolo ecosistema che, con una vita propria, crea un’utilità tanto alla famiglia quanto al mercato di riferimento. Tralasciando volutamente i riflessi psicologici, pensiamo già solo all’impatto negativo in termini occupazionali ed economici in generale scaturenti dalla cessazione di un’attività. Un’azienda che non genera margini e non crea valore è certamente destinata alla dipartita prima o poi: la fine può essere solo rimandata ma è inevitabile.
È (deve essere) responsabilità dell’imprenditore, ancor più nell’attuale contesto economico, prendersi cura dell’ecosistema che ha creato e che lo circonda, senza tralasciare le aspettative degli stakeholders ed avendo cura di non scordare mai gli effetti negativi che le sue azioni possono generare su di essi.

In conclusione, possiamo sostenere senza dubbio che un buon passaggio generazionale dell’azienda debba basarsi in primis sulla consapevolezza, sulla responsabilità e sulla predisposizione delle parti coinvolte nell’accettare il cambiamento. Senza queste ed in presenza di rapporti conflittuali, nessun tecnico può fare molto.

Con l’invecchiamento della classe imprenditoriale saranno tante le aziende che si troveranno a dover affrontare, nell’immediato futuro, il ricambio generazionale: l’apertura al cambiamento unita ad una opportuna pianificazione sono le solide fondamenta su cui costruire il passaggio di testimone.

Aggiornato il 09 aprile 2025 alle ore 10:28