Il nudging è morto, lunga vita al nudging

In questo momento storico di grande tensione, in cui i leader delle nostre democrazie sembrano costretti a concentrare le loro energie ora su una tragica guerra tradizionale, ora su nuove guerre commerciali, è lecito domandarsi se non sia la fine degli approcci comportamentali alle politiche pubbliche.

La domanda mi sta particolarmente a cuore, essendo questa l’area dei miei studi e avendo recentemente pubblicato un libro sull’argomento, che verrà presentato all’Istituto Bruno Leoni il prossimo 9 aprile, e in questo senso potrebbe essere già vecchio.

Da un lato, mi sentirei di dire che potremmo assistere alla chiusura di un capitolo di quest’area di studi, ovvero quel capitolo che ha visto dominare il nudging come tecnica comportamentale nelle politiche pubbliche. Nella definizione del Nobel Richard Thaler e di Cass Sunstein, un nudge è ogni aspetto dell’architettura delle scelte che altera il comportamento delle persone in maniera prevedibile senza proibire alcuna opzione, forzare alcuna scelta o modificare in maniera significativa gli incentivi economici. In altre parole, l’ambizione è quella di modificare le scelte degli individui – e quindi i risultati delle politiche – senza affidarsi né al bastone né alla carota. Da qui l’etichetta del “paternalismo libertario”.

Nel nuovo equilibrio globale in via di formazione, dove forza bruta e sanzioni economiche vanno per la maggiore, purtroppo o per fortuna, questo approccio sembra destinato a diventare marginale.

Dubito tuttavia che si tratti della fine degli approcci comportamentali in generale. Tra l’altro, uno degli obiettivi del mio libro è proprio quello di mostrare il valore degli approcci comportamentali senza fermarsi alla popolarità del nudging, che rappresenta solo una tecnica molto specifica di utilizzo di alcune evidenze prodotte da quest’area di studi.

Il valore degli approcci comportamentali sta nell’adottare una visione realistica del comportamento e delle capacità degli individui e nel costringere i policymaker a considerare sistematicamente i limiti della conoscenza e delle capacità umane come una potenziale fonte di conseguenze, sia intenzionali che non intenzionali, dell’azione governativa. Un metodo che penso possa tornare utile anche nel tentare di comprendere, per esempio, come persone e comunità potrebbero reagire alle manifestazioni “tradizionali” dell’azione di governo, incluse quelle che potrebbero scaturire dai tempi difficili che stiamo vivendo.

(*) Tratto dall’Istituto Bruno Leoni

Aggiornato il 07 aprile 2025 alle ore 13:31