Il piano abitativo europeo: più burocrazia, meno libertà e un nuovo disastro annunciato

L’Ue insiste con l’interventismo nel mercato immobiliare, ignorando che più regolamentazione significa meno case e prezzi più alti

L’aumento dei prezzi delle abitazioni e degli affitti nell’Unione europea non è un fenomeno casuale. È la conseguenza diretta di anni di regolamentazioni asfissianti, imposizioni fiscali punitive e vincoli burocratici che hanno reso il mercato immobiliare rigido e inefficiente. Nonostante ciò, la Commissione europea, invece di riconoscere le proprie responsabilità e rimuovere gli ostacoli alla crescita, ha deciso di intervenire con l’ennesima task force burocratica, operativa dal 1° febbraio 2025, per elaborare un “Piano abitativo europeo”. Presentata come una soluzione per rendere gli alloggi più accessibili, detta iniziativa ignora un principio ormai acclarato: ogni tentativo di manipolare il mercato produce più problemi di quanti ne risolva. I dati Eurostat parlano chiaro: tra il 2015 e il 2023, i prezzi delle case nell’Ue sono aumentati in media del 48 per cento, con punte del 173 per cento in Ungheria. Gli affitti, strangolati da regolamenti soffocanti, sono cresciuti del 18 per cento. Un problema che affligge milioni di cittadini europei, soprattutto nelle grandi città, dove la domanda supera un’offerta frenata da politiche miopi e da un’ingerenza statale eccessiva.

Nell’ambito dell’iniziativa richiamata, la Commissione propone di aumentare la costruzione di alloggi attraverso una piattaforma di finanziamento paneuropea, in collaborazione con la Bei (Banca europea per gli investimenti). Un’idea che, seppur possa apparentemente sembrare ragionevole, rischia tuttavia di scoraggiare gli investimenti privati, vero motore dell’edilizia. La storia è piena di esempi di politiche abitative fallimentari: basti pensare ai piani di edilizia popolare degli anni Settanta e Ottanta, che hanno generato ghetti urbani invece di risolvere la crisi abitativa. È ormai risaputo che l’intervento statale, quando si sostituisce alla libera iniziativa, distorce il mercato, altera gli incentivi e frena lo sviluppo spontaneo. Soprattutto quelli degli investitori privati, i quali, trovandosi dinanzi all’incertezza sulle prospettive future, si vedono costretti a ridurre i loro investimenti o a dirottare i capitali verso settori meno soggetti a interferenze politiche. Un mercato libero e competitivo richiede invece certezze normative e una chiara distinzione tra il ruolo del pubblico e del privato. Inoltre, la creazione di una piattaforma di finanziamento centralizzata rischia di allontanare la gestione del problema dalle reali esigenze locali.

Un altro aspetto critico è l’eventuale introduzione di nuove regolamentazioni per il settore. La libertà contrattuale tra proprietari e inquilini è un pilastro di una società libera. Misure come tetti agli affitti o criteri rigidi per la locazione, al di là di propositi dei fautori, finiranno inevitabilmente per ridurre l’offerta di abitazioni. I proprietari, disincentivati dagli eccessivi vincoli, potrebbero ritirarsi dal mercato, aggravando la crisi abitativa. Il risultato? Meno case disponibili e una qualità degli alloggi in declino, poiché mancherebbero stimoli e risorse per lavori di manutenzione. In realtà, piuttosto che intensificare l’intervento diretto, l’Ue dovrebbe al contrario promuovere politiche che vadano nella direzione opposta e favoriscano, anziché limitare, il libero mercato. Semplificare le normative urbanistiche e ridurre la burocrazia sarebbero passi nella giusta direzione. Inoltre, la collaborazione tra pubblico e privato, attraverso partenariati rispettosi delle dinamiche di mercato, potrebbe rappresentare una soluzione più sostenibile. La liberalizzazione del mercato favorirebbe la concorrenza e, con un aumento dell’offerta di alloggi, porterebbe a una naturale riduzione dei prezzi.

Un ulteriore stimolo potrebbe venire da iniziative per la rigenerazione urbana, affidando alla libera iniziativa il compito di valorizzare le aree degradate e di rispondere in modo spontaneo ed efficiente alla domanda abitativa, senza distorsioni imposte dall’alto. A tutto quanto precede, è doveroso aggiungere che ogni intervento di politica abitativa deve necessariamente tenere conto delle peculiarità locali. Un approccio unico per tutti i Paesi membri rischia di non cogliere le differenze tra i vari mercati immobiliari europei, aggravando le disparità anziché ridurle. L’esperienza insegna che le soluzioni calate dall’alto raramente funzionano. Occorre restituire ai singoli Stati e, meglio ancora, alle comunità locali la capacità di gestire autonomamente le proprie politiche abitative. In sostanza, l’Unione europea, anziché imporre regolamentazioni uniformi, dovrebbe riconoscere la sovranità degli Stati membri e lasciare che siano le dinamiche di mercato a determinare l’equilibrio tra domanda e offerta.

Aggiornato il 07 febbraio 2025 alle ore 10:51