Spagna, il paradosso della tassa sugli immobili

Una misura controversa per affrontare la crisi abitativa, tra rischi economici e dubbi di legittimità

L’annuncio del governo spagnolo di voler introdurre una tassa fino al 100 per cento sul valore degli immobili acquistati da persone non residenti nell’Unione europea rappresenta un attacco senza precedenti alla proprietà privata e alla libertà economica. Dietro la giustificazione della crisi abitativa e della necessità di contrastare la speculazione immobiliare si nasconde, in realtà, un vecchio retaggio ideologico: la diffidenza nei confronti della proprietà come espressione della libertà individuale.

La proposta del governo Sánchez vorrebbe così a scoraggiare l’acquisto di case da parte di investitori stranieri, soprattutto di coloro che trasformano le abitazioni in affitti turistici brevi. Secondo i promotori della misura, tali investimenti infatti contribuirebbero a sottrarre case disponibili ai cittadini spagnoli, spingendo verso l’alto i prezzi degli immobili e aggravando la crisi del settore. Tuttavia, la realtà è ben più complessa e le conseguenze di simile politica rischiano di essere disastrose.

Innanzitutto, è necessario chiarire che la proprietà privata non è la causa della pretesa crisi abitativa, ma una delle principali soluzioni. La storia dimostra che nei Paesi in cui la stessa è tutelata e incentivata, il mercato immobiliare è più dinamico e accessibile. Limitarne l’accesso, al contrario, produce scarsità, inefficienza e stagnazione. Come ha spiegato Ludwig von Mises: “L’istituto della proprietà privata non ha bisogno di alcuna difesa, giustificazione, motivazione o spiegazione. La società ha bisogno della proprietà privata per poter sussistere, e poiché gli uomini hanno bisogno della società, debbono preservare la proprietà privata per non danneggiare i loro stessi interessi, cioè gli interessi di tutti. Giacché la società può reggersi soltanto sulla base della proprietà privata”.

Vi è inoltre da considerare che, imporre una tassa così gravosa e penalizzante sugli acquisti immobiliari da parte di non residenti Ue, equivale, di fatto, a un esproprio mascherato. È però un provvedimento che viola i principi fondamentali del diritto europeo, compresa la libera circolazione dei capitali, e rischia di scoraggiare gli investimenti esteri nella penisola iberica. Non bisogna dimenticare che questi ultimi hanno storicamente contribuito allo sviluppo del mercato spagnolo, generando occupazione e ricchezza.

Paradossalmente, la misura proposta potrebbe avere l’effetto opposto a quello auspicato: la fuga degli operatori stranieri, che si tramuterebbe in una riduzione delle entrate fiscali e nel rallentamento del settore edilizio. Aggiungasi che il calo degli investimenti immobiliari potrebbe a sua volta tradursi in un aumento della pressione fiscale sui cittadini spagnoli per compensare le perdite.

In sostanza, la crisi abitativa, che sembra affliggere non solo la Spagna ma molti altri Paesi europei, non si risolve con misure draconiane contro la proprietà privata. Al contrario, la soluzione passa attraverso politiche che favoriscano l’aumento dell’offerta abitativa, la semplificazione burocratica per le nuove costruzioni, la liberalizzazione degli affitti e la riduzione delle imposte sugli immobili.

È dimostrato, infatti, che il mercato immobiliare, se lasciato libero di operare senza vincoli, può rispondere in modo rapido e creativo alle esigenze della popolazione, proponendo soluzioni innovative e diversificate. L’introduzione di tasse punitive, invece, soffoca siffatta capacità adattiva e finisce per aggravare i problemi che vorrebbe risolvere, generando rigidità e incertezza. In un contesto di scambi liberi, gli attori economici sono stimolati a trovare risposte efficaci alla domanda di alloggi, mentre un’eccessiva regolamentazione tende a bloccare le iniziative private e a scoraggiare nuovi investimenti.

Né si può ignorare l’ulteriore rischio, ossia che un gravame del genere crei un pericoloso precedente. Se la Spagna dovesse adottare tale famigerata tassa, altri Paesi europei potrebbero seguirne l’esempio, dando vita a una spirale di protezionismo immobiliare che danneggerebbe l’intera economia del continente. In un’epoca in cui la globalizzazione ha reso i capitali mobili e gli investitori possono facilmente spostare i loro interessi da un Paese all’altro, adottare politiche di chiusura significa autoisolarsi dal mercato globale.

In conclusione, l’idea spagnola, alimentata unicamente da pregiudizi ideologici ostili alla proprietà privata e al mercato, conduce all’adozione di una misura miope e pericolosa. La stessa rischia di far pagare alla Spagna un prezzo molto elevato, che potrebbe allontanarla dai principi di libertà economica e avvicinarla a un modello di controllo statale del mercato immobiliare: quello che la storia ha già dimostrato essere fallimentare.

Aggiornato il 15 gennaio 2025 alle ore 12:18