La liberalizzazione urbanistica come perno dello sviluppo economico (e culturale)

Quando vado all’estero mi capita spesso di parlare con italiani che si sono trasferiti per lavoro. L’ho fatto anche a Londra la scorsa settimana. Stavolta era un manager che ha girato il mondo e che sta prendendo la cittadinanza britannica, incontrato da Harrods (dove sono andato per curiosare, visti i prezzi lunari!). Gli ho manifestato la mia ammirazione per la trasformazione urbanistica del quartiere finanziario (e non solo) della città negli ultimi anni e mi ha confermato che nel Regno Unito la pubblica amministrazione è pragmatica e favorisce in ogni modo chi voglia dar corso ad un’attività produttiva; non esiste il formalismo della normativa urbanistica italiana, coi suoi divieti assurdi che limitano il diritto di proprietà e si traducono in burocrazia, corruzione e immobilismo. 

Non è questione di destra/sinistra: nessun governo della Repubblica ha mai toccato la legge urbanistica − fascista, alias statalista, alias dirigista – del 17 agosto 1942, numero 1150, tuttora in vigore, che rappresenta il fondamento del sistema urbanistico italiano. Regolamenta ancora l’assetto del territorio, (definendone le regole per lo sviluppo e l’organizzazione, sia nelle aree urbane che in quelle rurali) e l’attività edilizia (la costruzione di edifici, le modifiche e le demolizioni, chiedendo il rispetto di determinati standard e criteri) prevedendo Piani urbanistici di diverso livello a partire dai piani regolatori (generalmente a livello comunale) come strumenti fondamentali per la pianificazione urbanistica.

Anche se è stata oggetto di numerose modifiche e integrazioni nel corso degli anni per adattarsi all’evoluzione della società e del territorio, continua ad essere il riferimento normativo fondamentale per tutte le questioni legate all’urbanistica in Italia. Ha dato vita a un sistema molto complesso e frammentato, con numerose leggi e regolamenti che si sovrappongono.

I risultati di questa limitazione di libertà si vedono non solo nel regresso economico che ha comportato ma anche nei risultati estetici: il Paese degli splendidi borghi medievali eretti dalle famiglie − non solo nobiliari − ossia dai “privati”, che tutto il mondo ci invidia, è diventato il Paese dell’edilizia pianificata di Corviale e Tor Bella Monaca a Roma, dello Zen a Palermo, di Scampia a Napoli e della Barriera di Milano a Torino, solo per citare gli esempi più significativi.

Non che fenomeni di dirigismo edilizio non ci siano stati nella stessa Gran Bretagna (per esempio i Council Estates, complesssi popolari) in Francia (Les Banlieues) e addirittura in Usa (edilizia popolare realizzata a New York e Chicago negli anni ‘60 e ‘70); ma questi Paesi hanno poi saputo liberalizzare il settore traendone grande beneficio.

La liberalizzazione urbanistica è uno dei cardini di un possibile rilancio (non solo economico, con lo sblocco dei cantieri, ma anche estetico, contro il degrado apparentemente inarrestabile) dell’Italia. 

Bisogna trovare il coraggio di attuarla.

Aggiornato il 10 gennaio 2025 alle ore 11:28