Concessioni elettriche: la prosecuzione del debito pubblico con altri mezzi

Contento lo Stato, contenti gli azionisti delle imprese beneficiarie, meno contenti i consumatori

Mentre Giorgia Meloni ad Atreju elogiava la motosega con cui Javier Milei ha tagliato la spesa pubblica, privatizzato e liberalizzato, i suoi in Parlamento aumentavano la spesa pubblica, nazionalizzavano e rafforzavano i monopoli. Come molti si aspettavano, venerdì sera è spuntato un emendamento alla Legge di bilancio che dispone la proroga per un periodo “non superiore a quarant’anni” delle concessioni per la distribuzione elettrica. La decisione è molto rilevante non solo sotto il profilo industriale – di cui ci siamo ampiamente occupati nel passato – ma anche sotto quello politico. L’operazione, infatti, se dal punto di vista dei concessionari appare come un diluvio di manna dal cielo, dal punto di vista dello Stato sembra invece una emissione non dichiarata di debito pubblico – a un tasso completamente fuori mercato, di cui faranno le spese i consumatori elettrici negli anni a venire.

C’è, infatti, un aspetto piuttosto curioso dell’emendamento in questione. Esso prevede – naturalmente nel nome della transizione energetica – che i concessionari delle reti di distribuzione presentino piani di investimento straordinari per migliorare le reti nei prossimi decenni (tutte attività che sono comunque tenuti a svolgere). Sulla base di tali piani, il Governo potrà accordare una proroga quarantennale delle concessioni, in cambio della quale i concessionari saranno tenuti a versare una certa somma. Questo è il minimo sindacale: a fronte dell’allungamento della concessione che li salva dalle gare, i beneficiari pagano una sorta di canone straordinario. Sennonché, tali oneri “sono inclusi da Arera nel capitale investito ai fini del riconoscimento degli ammortamenti e della remunerazione attraverso l’applicazione del tasso definito per gli investimenti della distribuzione elettrica”.

Cosa significa dal punto di vista dello Stato? Proviamo a raccontarlo così: lo Stato ottiene una certa somma dai concessionari, i quali la anticipano e poi la recuperano nel tempo a carico dei consumatori elettrici. Dal punto di vista del Governo, è del tutto equivalente a una emissione di debito pubblico, con la enorme differenza (formale) che, in questo caso, all’entrata non corrisponde l’iscrizione di un debito nello stato patrimoniale dello Stato. Lo Stato incassa i soldi, i concessionari li “prestano” e poi li riavranno nel tempo. Tranne che i denari non saranno restituiti dallo Stato, ma dagli incolpevoli consumatori di energia elettrica. Quindi, è come dire che i concessionari fanno da banca per conto dello Stato. E a che tasso vedranno poi risarcito il proprio anticipo? Se lo Stato avesse emesso un Btp, lo avrebbe pagato nell’ordine del 3-3,5 per cento. Viceversa, il costo del capitale riconosciuto ai distributori elettrici per il periodo 2025-27 è del 5,6 per cento, almeno due punti superiore.

Quindi, pur di non far figurare un aumento del debito pubblico, il governo ha deciso di utilizzare l’escamotage della proroga delle concessioni elettriche, nonostante questo si tradurrà in una tassa occulta e ingiustificata sui consumatori di energia elettrica. Contento lo Stato che ha soldi da spendere, contenti gli azionisti delle imprese beneficiarie che ottengono gratis quarant’anni di concessione, contenta la Commissione europea che è troppo impegnata a strillare sulle proroghe ai balneari per rendersi conto di quello che sta accadendo nella distribuzione elettrica (e, prossimamente, nell’idroelettrico). Cornuti e mazziati i consumatori: cornuti per la proroga delle concessioni che fa venire meno le gare, mazziati perché dovranno pagare due volte, e perfino privati di una qualunque forma di dibattito pubblico in materia.

Aggiornato il 17 dicembre 2024 alle ore 10:21