Dalle tasse sugli affitti brevi alle requisizioni, le città italiane soffocano il diritto di proprietà
Da qualche tempo, in Italia, la proprietà privata, pilastro di una società libera e aperta basata sull’economia di mercato, è sempre più sotto assedio. Le recenti iniziative di alcune amministrazioni locali, spesso supportate da altre misure del governo centrale che si muove nella stessa direzione, mostrano una tendenza preoccupante: limitare, vincolare e, in alcuni casi, espropriare i diritti dei proprietari. In sostanza, un approccio punitivo, che minaccia non solo la libertà economica, ma anche il principio fondamentale del diritto di proprietà.
In particolare, a Firenze, ed è notizia di pochi giorni fa, l’amministrazione comunale ha adottato un’ulteriore misura, aggiungendola a una serie di interventi restrittivi già esistenti, con la pretesa di contrastare lo spopolamento del centro storico. La proposta prevede il rimborso dell’Imu per i proprietari che rinunciano agli affitti brevi e vincolano i propri immobili a contratti di locazione a lungo termine. Secondo il sindaco Sara Funaro, promotrice di siffatta politica, tale approccio incentiverebbe l’affitto residenziale e frenerebbe l’erosione del tessuto sociale cittadino. Non considera, ovviamente, che detta azione non solo esula dalle sue attribuzioni quanto interferisce pesantemente con la libertà dei proprietari di disporre liberamente dei loro beni.
Aggiungasi a ciò che il rimborso dell’Imu si configura non come un reale beneficio, ma come una sanzione implicita per chi non aderisce, trasformandolo così da scelta che dovrebbe essere volontaria in vincolo punitivo che limita significativamente la libertà economica. Inoltre, vale la pena ricordare che tale provvedimento si inserisce nel solco di altre misure già adottate contro gli affitti brevi, che sono emblematiche di un atteggiamento punitivo verso un settore che rappresenta invece una forma legittima e spesso necessaria di utilizzo degli immobili. Gli affitti brevi offrono infatti una risposta flessibile alle inefficienze del mercato tradizionale, causate proprio dalle istituzioni, che con un regime vincolistico decennale, una burocrazia soffocante e un sistema fiscale oppressivo hanno creato un contesto ostile.
A Torino si profila un panorama ancora più cupo. Una campagna denominata “Vuoto a rendere”, promossa da associazioni locali e appoggiata dal Comune, punta ad acquisire immobili sfitti per affrontare l’emergenza abitativa. L’iniziativa prevede un censimento delle case inutilizzate e colloqui con i proprietari per comprenderne le ragioni del mancato utilizzo. Si prospettano sanzioni pecuniarie e, nei casi più gravi, la requisizione degli immobili, laddove i medesimi proprietari dovessero decide, com’è loro diritto, di non collaborare. L’idea ha già suscitato polemiche e proteste, poiché rappresenta una palese violazione del diritto di proprietà, garantito dalla Costituzione, e costituisce un esproprio mascherato che potrebbe aprire la strada a ulteriori interventi arbitrari contro i proprietari. Da altro punto di vista è stata pure duramente criticata non solo perché considerata meramente ideologica e inaccettabile secondo i principi liberali, rappresentando un attacco diretto ai diritti fondamentali dei cittadini, ma anche perché ignora che le case sfitte non sono il risultato di scelte arbitrarie o speculative da parte dei proprietari. Esse, nella maggior parte di casi, hanno origine in difficoltà oggettive, come una burocrazia opprimente, vincoli normativi rigidi e un carico fiscale che scoraggia ogni investimento nel settore immobiliare, che sarebbe addirittura ulteriormente penalizzato qualora si aderisse alla proposta di maggiorare Imu e Tari.
Non meno preoccupante è il provvedimento al vaglio del Governo sulle botteghe storiche, che prevede l’introduzione di un diritto di prelazione a favore dei conduttori, estendendolo persino alla vendita dell’intero immobile che ospita una bottega. Se sarà infine adottato, lo stesso sarà destinato a porsi in palese contrasto con il diritto dei proprietari di disporre liberamente dei propri beni, ad alimentare incertezza tra gli investitori e a scoraggiare nuove iniziative nel mercato.
I casi di Firenze e Torino, uniti alla risoluzione sulle botteghe storiche, non sono comunque episodi isolati, ma segnali di una tendenza preoccupante che si sta diffondendo in molte città italiane, alimentata da un clima di ostilità preconcetta verso la proprietà privata.
Politiche di questo tipo, invece di risolvere le emergenze sociali, aggravano la crisi abitativa, scoraggiano gli investimenti e riducono ulteriormente l’offerta di alloggi. Il vero problema non risiede quindi nella proprietà privata, ma negli ostacoli creati dalle istituzioni: burocrazia, vincoli normativi ed eccessiva pressione fiscale. Tali interventi esprimono, inoltre, una visione miope e superficiale, nonostante siano mascherati da “buone intenzioni” (delle quali, secondo la celebre frase attribuita a San Bernardo di Chiaravalle, “sono lastricate le vie dell’inferno”) e giustificati dalla pretesa di voler affrontare problemi reali.
Colpire i proprietari non solo è ingiusto, ma rappresenta un errore strategico: la proprietà privata è un motore essenziale per la crescita economica e il benessere collettivo, oltre che un diritto fondamentale. Limitarla equivale a minare le basi della libertà stessa, danneggiare irreparabilmente il mercato immobiliare e privarsi di una risorsa preziosa per il rilancio delle città. È urgente invertire questa tendenza e riaffermare il diritto di proprietà come principio cardine di una società libera e aperta. Per fare ciò occorre i decisori pubblici abbandonino le politiche coercitive e restituiscano ai proprietari la libertà di disporre dei loro beni: “La proprietà, come la libertà ‒ ha affermato Frédéric Bastiat ‒ è il diritto di usare e abusare, di scambiare, alienare, cedere e distruggere, purché ciò non causi danno agli altri”.
Aggiornato il 11 dicembre 2024 alle ore 17:50