Abolire il canone Rai: se non ora, quando?

In un contesto di trasformazioni digitali e mercato libero rappresenta un obbligo sempre più anacronistico e dannoso per la libertà individuale

L’iniziativa della Lega, che tramite un emendamento alla legge di bilancio 2025 propone di ridurre il canone Rai a 70 euro, riporta al centro del dibattito un’imposizione che molti considerano ormai superata. Tale tassa, introdotta decenni fa in un’Italia profondamente diversa, continua a pesare su milioni di famiglie italiane e solleva interrogativi sulla sua attuale utilità e legittimità. 

Un tributo simile appare inoltre anacronistico e ingiustificabile, considerando che la televisione pubblica non costituisce più, come in passato, una delle poche fonti di informazione per la maggior parte dei cittadini. Questi ultimi hanno oggi accesso a una vasta gamma di contenuti diversificati, forniti da piattaforme online e servizi on demand per intrattenimento, informazione e approfondimento. Player come Netflix, Prime Video, YouTube e altri offrono contenuti di qualità e varietà senza precedenti, spesso a costi competitivi, garantendo piena libertà di scelta. L’obbligo di finanziare un servizio pubblico non richiesto appare quindi superato e iniquo.

Oltre a ciò, bisogna considerare che il detto canone si configura come un’imposta regressiva che grava uniformemente su tutte le famiglie italiane, indipendentemente dal loro utilizzo del mezzo televisivo o dall’interesse verso il servizio offerto.

In un periodo storico segnato da inflazione e difficoltà economiche, eliminarlo rappresenterebbe un gesto concreto a favore della libertà economica, restituendo denaro a chi è obbligato a finanziare un servizio che potrebbe non essere rilevante per le proprie esigenze di vita. Sarebbe anche una misura che segnerebbe un passo verso una maggiore autonomia e responsabilità individuale.

Da sottolineare inoltre come, negli ultimi anni, la concorrenza nel settore dell’intrattenimento e dell’informazione si sia intensificata. Ebbene, mentre la Rai continua a godere di una fonte di finanziamento garantita e protetta, le reti private competono attivamente per attrarre spettatori e pubblicità, con la necessità di migliorare continuamente i propri contenuti. In questo contesto, abolire il canone rappresenterebbe per l’azienda di Stato un incentivo a innovarsi e a offrire programmi in grado di attrarre pubblico per merito, piuttosto che per obbligo. Il sistema attuale ostacola infatti una vera competizione di mercato, limitando le pressioni sull’emittente statale affinché sia competitiva. Diversamente, con l’eliminazione del canone, essa potrebbe continuare a esistere in un contesto libero, dove le sue entrate dipendono dalla capacità di attrarre volontariamente il pubblico, adattandosi alle sue aspettative e preferenze.

Molti altri Paesi hanno già intrapreso percorsi di riforma in tal senso. La Svizzera, per esempio, ha rivisitato il sistema di finanziamento della televisione pubblica per rispondere alle critiche dei contribuenti e alla competizione dell’era digitale. Anche in Gran Bretagna, la Bbc è al centro di un dibattito sulla necessità di mantenere o meno un canone obbligatorio. I cittadini chiedono sempre più spesso il diritto di scegliere come e dove spendere i propri soldi, e l’Italia non può restare indietro, aggrappandosi a un modello che non rispecchia più le esigenze contemporanee.

Eliminare il canone significherebbe restituire agli italiani il diritto di decidere liberamente come spendere i propri soldi. In una società aperta e moderna, ciascun cittadino dovrebbe poter scegliere autonomamente i servizi che ritiene realmente utili. Imporre il finanziamento obbligatorio della Rai rappresenta invece una limitazione alla sovranità economica e personale. Si restituirebbe inoltre la libertà di scelta, riconoscendo agli individui il diritto all’autodeterminazione e alla responsabilità personale, valori che esaltano l’autonomia e il rispetto delle preferenze individuali. La libertà di scelta è infatti uno dei fondamenti di una società che rispetta dignità e autonomia. Il canone indicato, al contrario, è il residuo di un’epoca in cui lo Stato stabiliva cosa i cittadini dovessero vedere, privandoli della possibilità di scegliere in base alle proprie preferenze. L’abolizione del canone non danneggerebbe il servizio pubblico, ma stimolerebbe l’ente pubblico a migliorare, offrendo contenuti che i cittadini desiderano davvero sostenere.

Né è convincente l’argomentazione di chi sostiene che, in assenza del canone, l’azienda perderebbe finanziamenti e autonomia. Esistono infatti alternative che le consentirebbero di mantenere il proprio ruolo senza gravare sui cittadini. Modelli di abbonamento volontario, sponsorizzazioni mirate e partnership con il settore privato potrebbero garantire nuove fonti di entrate. La stessa sarebbe così incentivata a creare contenuti di qualità per attrarre un pubblico autenticamente interessato, piuttosto che contare su un sostegno obbligato. Un sistema di finanziamento volontario permetterebbe inoltre all’ente radiotelevisivo di sperimentare nuove strategie editoriali, puntando su innovazione e qualità. Gli utenti potrebbero scegliere di abbonarsi per sostenere programmi culturali o informativi, creando un legame più diretto con l’emittente. L’opzione di pagamento per singoli eventi o programmi amplierebbe ulteriormente le entrate, avvicinandolo a un modello simile alle piattaforme di streaming, dove la qualità risulta decisiva per la scelta.

In conclusione, abolire il canone Rai rappresenterebbe un passo verso un’Italia più moderna e dinamica, al cui interno il servizio pubblico sarebbe riallineato alle aspettative di una società che chiede più libertà e meno imposizioni, rispettando il diritto dei cittadini di scegliere cosa guardare e come spendere i propri soldi. Riformare il sistema di finanziamento non è solo una questione economica, ma anche di dignità e di rispetto per la sovranità individuale. La vera sfida è costruire un servizio pubblico capace di rispondere alle esigenze di un pubblico esigente e consapevole, senza ricorrere a una tassa ormai obsoleta.

Aggiornato il 27 novembre 2024 alle ore 09:56