Elezioni Usa: Europa al bivio

Le elezioni Usa con la vittoria netta di Donald Trump possono, forse, rappresentare un segnale di discontinuità storica per i cambiamenti annunciati nel corso della campagna presidenziale rispetto alla rotta dei democratici troppo legati a un passato che sta volgendo al termine. Una presidenza che mette in discussione il globalismo, la delocalizzazione selvaggia spinta da una finanza senza controllo, la povertà conseguente delle tute blu rimaste disoccupate, la cultura “woke” e la decadenza morale con un’occupazione invasiva della cultura transgender, le dichiarazioni di concentrarsi sugli Usa a scapito dell’Europa che rimane senza la sua guida a obbedire e ancora chiudere con le guerre frutto di una politica acefala che vede nel dominio bellico l’unico modo di affermarsi frutto dei neocon da troppo al Governo. La dimostrazione più evidente della vittoria di Trump è stata la posizione dei media americani e dello star system che hanno sempre puntato lo sguardo sulla vittoria di Kamala Harris contro un avversario definito debole dimostrando una colpevole cecità che oscilla tra l’opportunismo suicida e la mancanza di cultura storica che lasciava prevedere una vittoria dei repubblicani su cui da tempo i bookmakers avevano scommesso. Sarebbe bastata un po’ di prudenza e di attenzione alla stanchezza di un Paese che si trova davanti a un declino inesorabile se non viene fermato e dal più brutto periodo della loro storia dalla fine della Seconda guerra mondiale; la storia presenta sempre il conto e tutti i nodi vengono al pettine e questo dimostra la mancanza di cultura e di conoscenza della storia che hanno fatuamente illuso i media del sistema troppo colluso degli Usa.

Peraltro sorprende non più di tanto l’adeguamento servile dei nostri media che si sono affannati a dichiarare la chiara vittoria della Harris anche di fronte a una crescente evidenza della sua debolezza, una candidatura tirata fuori dalla posizione in ombra che aveva sempre tenuto per mandarla a svolgere una parte troppo poco idonea al suo status culturale e alla sua poca empatia. I media italiani sono stati ancora una volta servi fedeli del padrone facendo il danno loro e dei pochi lettori che rimangono a leggere troppe false verità. Di fronte a un forte cambiamento di rotta come sembra dalle dichiarazioni del nuovo presidente eletto l’Europa si trova di fronte a un dilemma e cioè proseguire in una strada di debolezza e di dipendenza da un atlantismo che mostra segni evidente di debolezza storica che sembra metterlo di fronte a un declino inesorabile oppure trovare una spinta culturale per affrontare con creatività e autonomia la sfida epocale di un mondo che cambia. Questo dilemma senza vie di uscite va affrontato con coraggio ma dobbiamo domandarci se la governance europea ha le doti culturale, politiche, sociali ed umane per farlo. “Essere o non essere, qui sta il problema”, direbbe il principe Amleto. L’Europa si trova in una situazione di grande debolezza per la sudditanza troppo subita senza un respiro volto a una sua autonomia per provare a pensare con la propria testa e di conseguenza con quella della sua governance e qui sorge il problema vero della debolezza culturale di chi guida questa governance troppo incline a farsi comandare che a provare una forma dei creatività in grado di affrontare un mondo che cambia e non farsi trascinare al caos se la sua cecità si prolunga.

Come si scriveva, su questo giornale e in tempi non sospetti, lo scorso luglio in occasione della nomina della Ursula von der Leyen a presidente della Commissione europea sulla sua inidoneità a svolgere quel ruolo definendo quella nomina antistorica. “In questo clima di crescente ostilità” (le posizioni politiche in Francia ed in Germania, ndr) si sono svolte le elezioni del nuovo parlamento Europeo e la nomina del nuovo presidente. In realtà, il candidato era uno solo senza alternative rappresentato dal precedente presidente Ursula von der Leyen. Già questa situazione dimostra un’incapacità di andare verso il nuovo in un mondo che cambia rapidamente in cui si richiede una nuova anima e un nuovo pensiero per potere fare fronte alle sfide dell’ambiente fortemente mutevole con una forte dialettica possibile fra le parti per evitare l’immobilismo catatonico del precedente Parlamento e del suo rinnovato presidente.

L’Europa ha manifestato nella sua governance un appiattimento verso decisioni esterne che l’hanno resa fortemente dipendente dalla posizione assunta in questi anni dagli Stati Uniti, è venuta meno l’autonomia di pensiero e la creatività politica necessaria per creare un bilanciamento positivo che potesse rendere l’Europa un soggetto politico con una sua identità e non solo un utile esecutore di politiche altrui.

Ursula von der Leyen ha personificato questa sudditanza priva di slanci creativi in grado di fare mettere a terra i problemi veri di un mondo che cambia e non restare su posizioni autoreferenziali perdenti. In questo senso, la scelta caduta ancora sulla Ursula risulta una pericolosa scelta antistorica volta a replicare una forma di immobilismo dipendente e insensibile ai cambiamenti necessari per evitare che l’Europa venga trascinata verso una crescente instabilità.

Il precedente quinquennio ha fatto maturare nel mondo una forma di crescente bipolarismo con una forma di collasso del mondo occidentale tenuto fermo da una politica troppo autoreferenziale che pensa ancora come se fossimo in un mondo unipolare. La crescita dei Brics è stata vistosa e ha creato una crescente aggregazione di nuovi Stati che si pongono in alternativa come forza di Governo alla cultura coloniale dell’Occidente che ha spesso visto forme non più accettabili di colonialismo imperante. I condizionamenti posti dalla politica Usa sono stati scrupolosamente eseguiti da un presidente europeo, Ursula von der Leyen, che si è comportata come un funzionario della Casa Bianca che prende ordini e li esegue scrupolosamente senza il minimo dubbio sulla loro funzionalità a risolvere i problemi e non peggiorarli.

La nomina della Von der Leyen è avvenuta sulla spinta di Emmanuel Macron (Francia) e di Olaf Scholz (Germania) di fronte alla destra che si stava affermando come contraltare; la storia poi ha dato evidenza a questo cambio con la presidenza Trump rilanciando Marine Le Pen in Francia, l’Austria con il suo presidente, i “lander” della Germania che hanno votato a destra poi Viktor Orbán e l’Ungheria che sembravano isolati ed ora non lo sono più e poi anche l’Italia che si è debolmente allineata alla governance europea. In questo modo, la presidente si trova con una governance debole e culturalmente impreparata ad affrontare la sfide della creatività che è richiesta all’Europa per affrontare un mondo in forte cambiamento che richiede risposte innovative, una creatività inesistente ed un’autonomia troppo delegata alla dipendenza delle decisioni Usa che sembra essere lo scoglio maggiore di un sistema che si è abituato e delegare ad altri le decisioni sulla sua storia senza capire che la Storia stava cambiando ed ora ci troviamo impreparati strutturalmente a crescere in autonomia ma è questo che ci sta chiedendo un mondo che cambia. La vittoria di Trump mette in evidenza la debolezza europea trascinata al guinzaglio ma trovare una risposta richiede un ricambio culturale perché non si può affrontare il problema con lo stesso modello culturale che ha creato il problema.

Aggiornato il 12 novembre 2024 alle ore 12:54