Il 3 novembre 2023 il Consiglio dei ministri ha presentato ufficialmente un nuovo piano, di cui si parlava da lungo tempo, di politica estera e rapporti internazionali, in particolare con l’Africa, chiamato Piano Mattei dal nome della figura chiave dell’industria energetica italiana del secolo scorso. Per capire in che misura il riferimento alla figura di Enrico Mattei sia pertinente in questo contesto risulta utile ripercorrere alcuni tratti della sua vicenda e della sua personalità, così da provare a capire il contesto estremamente ostile in cui ha operato e che oggi sembra troppo complicato da superare. Il nome di Enrico Mattei è legato al sistema energetico italiano, gas naturale e petrolio, alla sua ideazione e alla sua implementazione. Enrico Mattei nacque il 27 ottobre del 1906; durante la Seconda guerra mondiale, prese parte alla Resistenza, divenendone una figura di primo piano e rappresentandone la componente “bianca” in seno al Comitato di liberazione nazionale alta Italia.

Nel 1945 fu nominato commissario liquidatore dell’Agip, creata nel 1926 dal regime fascista e invece di seguire le istruzioni del Governo sulla sua chiusura, riorganizzò l’azienda, fondando nel 1953 l’Ente nazionale idrocarburi (Eni) di cui l’Agip divenne la struttura portante. Sotto la sua guida, l’Eni diventò una multinazionale del petrolio, protagonista del miracolo economico postbellico diventando una multinazionale del petrolio partendo di fatto dal nulla e in un contesto ostile. Per capire la grandezza della persona, la sua genialità e il suo coraggio è necessario rifarsi alla storia di quel tempo così difficile e diverso da quello odierno e capire la difficoltà di muoversi verso alti poteri che lo osteggiavano.

L’Italia del Dopoguerra era un Paese distrutto e perdente e nella conferenza di pace del 10 agosto 1946, Alcide De Gasperi cercò di salvare il Paese dando evidenza alla lotta partigiana sostenuta. Il congresso chiuse un drammatico periodo storico con un Paese sotto stretto controllo dei Paesi vittoriosi. Muoversi in quel contesto era molto difficile per lo stretto controllo a cui eravamo sottoposti specie per quanto riguarda l’economia e la politica. Il Piano Marshall avviato nel 1947 diede respiro alla crescita del Paese, favorì l’interdipendenza ma anche l’estensione dell’influenza politica degli Stati Uniti a cui era difficile sottrarsi o mostrarsi di differente pensiero. Il Piano Marshall si chiuse nel 1952 quando Mattei cominciava a operare come presidente di Agip riuscendo a evitare che l’azienda finisse in mano straniera. Il risultato non era stato facile perché anche all’interno della maggioranza di Governo aveva qualche ostilità, Mattei aveva trovato in Don Luigi Sturzo, Giovanni Gronchi ed Ezio Vanoni gli aiuti che avevano convinto De Gasperi a deliberare la proprietà pubblica dell’Agip.

Muoversi in un contesto di dominanza all’esterno della politica degli Stati Uniti e all’interno in una situazione di appoggi politici trasversali richiedeva una forte determinazione e un alto coraggio capace anche di opporsi alle determinazioni esterne. Mattei era un democristiano cattolico ma con simpatie verso la sinistra, con un forte senso dello Stato e del rispetto delle persone e dei dipendenti. Verso l’esterno si mosse con aperture trasversali terzomondiste in contrasto con la politica delle alleanze postbelliche. Nel 1949 venne costituita la Nato (North Atlantic Treaty Organization) a cui l’Italia poteva aderire ma rimaneva in posizione di sudditanza rendendo difficile e rischioso muoversi con politiche economiche indipendenti senza andare allo scontro come sarebbe poi successo.

Va ricordato che i Paesi dell’Est europeo legati alla Russia decisero di non legarsi alla Nato precostituendo di fatto le condizioni della Guerra fredda e per l’Italia che aveva bisogno di ricostituirsi come Paese sotto tutti i punti di vista era difficile sottrarsi a un controllo nelle politiche di sviluppo e nei possibili accordi con Paesi diversi dalle alleanze definite senza trovare duri ostacoli da aggirare. Proprio l’anno successivo in questo contesto di equilibri difficili da realizzare Mattei fondò l’Eni per dare al Paese una sua forma di indipendenza energetica. Non fu facile fare passare la costituzione dell’ente in Italia per le opposizioni che si erano formate e ancora di più per il rischio di scontro con il potere delle potenze industriali anglo-americane contro cui si sarebbe scontrato.

Il contesto socioculturale in cui si doveva muovere Enrico Mattei era pieno di ostacoli e solo la sua visione imprenditoriale al servizio del pubblico e il suo coraggio potevano aiutarlo nel difficile impegno. È importante collocare l’opera di Mattei in un contesto che richiedeva autonomia, indipendenza dai poteri forti che purtroppo oggi non abbiamo perché troppo dipendenti dalla paura di provare a cercare una pur debole forma di autonomia. Ben presto la presenza di Mattei e dell’Eni diventano scomodi in un sistema strettamente oligopolistico che si fondava su un patto stipulato nel 1928, una forma di non concorrenza che metteva al primo posto non il bene del Paese ma il proprio bene anche a scapito del Paese. Il patto rimase valido fino alla crisi petrolifera innescata dal petrodollaro creato ad arte dagli Usa per difendere il dollaro e condannare le altre monete a una dura svalutazione come successe a noi negli anni settanta. Le “sette sorelle” come le chiamava Mattei erano la Royal Dutch Shell, l’Anglo-Persian Oil Company (Apoc, poi Bp), la Standard Oil of New Jersey, la Standard Oil of New York, la Texaco (ora Chevron), la Standard Oil of California e la Gulf Oil (poi Chevron) erano alleate e contro Mattei che era solo e in un Paese politicamente debole per la sua recente storia; va notato che la Standard era di John Davison Rockefeller per evadere la legge antitrust aveva scorporato le varie parti negli stati in cui operavano. La commissione antitrust di fatto chiuse gli occhi, il potere da contrastare era troppo forte.

Il modello oligopolistico era solido e non aperto a estranei ma l’operazione di Mattei fu di attaccare l’oligopolio facendo un accordo con i Paesi esportatori in base al quale si definiva il 50 per cento a testa, minore di quello imposto dalle altre compagnie petrolifere, a cui si aggiungeva un ulteriore 25 per cento determinato dalla metà delle quote di una compagnia mista creata ad hoc. Il Paese diventava partner dell’impresa con una significativa diminuzione dei costi di estrazione e di intermediazione. Nel 1956 con la nazionalizzazione dello Stretto di Suez Mattei ottenne l’appalto per costruire l’oleodotto fra Suez e il Cairo scoprendo le prime fonti di petrolio nel Sinai. Nello stesso anno contribuì alla fondazione delle “Partecipazioni statali”. L’altro passo importante fatto da Mattei contro le “Sette sorelle” fu l’accordo con l’Iran dello Scià con cui fece una società nuova chiamata Sirip che si occupò delle rilevazioni minerarie creando opportunità verso il petrolio iraniano, rompendo il monopolio anglo-americano.

In tale modo, Mattei con la sua formula aumentava la quota del Paese produttore, ne favoriva lo sviluppo in una logica di collaborazione reciproca contro il sistema estorsivo delle “Sette sorelle” che esercitavano un controllo politico di comodo che consentiva significative agevolazioni fiscali a scapito del Paese dove operavano. L’altra mossa pericolosa che Mattei fece fu quella di stipulare un accordo con la Russia che era opposta alla Nato, esattamente come oggi, e all’Alleanza atlantica di Usa e Gran Bretagna e quindi da condannare, solo il coraggio di Mattei poteva sfidare il potere della Nato ma lui stesso pensava di poterne uscire per avere un ruolo di riferimento per i Paesi più poveri di petrolio. Pensare oggi alle mosse di Mattei sembra una posizione folle e pericolosa ma la sua ricerca di autonomia per il bene del Paese era irriducibile.

Infine, l’altra mossa di Mattei riguardava i meccanismi monetari che regolavano gli scambi, dovremmo dire di baratto, che aveva istituito con i Paesi produttori di petrolio con cui il petrolio veniva scambiato con servizi o altri beni utili per il Paese acquirente. La stessa manovra venne fatta da Hjalmar Schacht per creare l’economia della Germania di Adolf Hitler negli anni Trenta e aggirare il sistema monetario ostile che condannava la Germania importatrice. Il genio di Schacht fu messo purtroppo al servizio del regime nazista ma in soli cinque anni creò la grande Germania che fu la prima nazione a uscire dalla Depressione del 1929. Schacht abbandonò il ruolo in economia perché contrario alla guerra per il rischio inflattivo, venne giudicato a Norimberga ma si salvò andando a fare consulenza a Paesi simili economicamente alla prima Germania, aiutò l’Egitto, l’Indonesia e il Giappone. Il ricordo di Mattei e la sua opera visionaria vanno ricondotte al suo tempo e alle difficoltà di emergere in un contesto ostile, la sua indipendenza gli costò cara con la perdita della vita. Il 27 ottobre 1962, per un atto di sabotaggio, il suo aereo scoppiò e prese fuoco. Solo nel 2003 l’inchiesta sulla morte di Mattei prima chiusa, poi riaperta, confermò l’attentato ma non i mandanti.

Ora parlare di Mattei e delle sue sfide alle potenze economiche del tempo in una fase storica dove la nostra dipendenza dalla linea atlantica è profondamente subordinata, sembra impossibile. Lui anche a costo della vita, ha lasciato un ricordo indelebile che purtroppo trova spazio solo nelle enunciazioni di comodo. Il Piano Mattei è realizzabile solo con un’azione di ricerca di autonomia che viene oggi bloccata per il timore di ritorsioni (come stiamo sperimentando) che finiscono per danneggiare noi a scapito delle élite dominanti. Rimaniamo, come l’Europa, incapaci di prendere una posizione autonoma che possa aiutarci in questa fase di declino del mondo occidentale. Se non abbiamo il coraggio di provare a cercare una forma di indipendenza sull’esempio di Mattei saremo sempre ostaggio delle possibili ostilità di un potere che ci governa ma che sta affrontando un suo inesorabile declino. Sarebbe bene non affondare con lui. Il richiamo alla figura di Mattei per un piano internazionale senza avere la sua visione di indipendenza rimane solo un’enunciazione di comodo e per questo sembra che il piano a lui dedicato sia più sulla carta che nei fatti.

(*) Professore emerito dell’Università Bocconi di Milano

Aggiornato il 06 novembre 2024 alle ore 11:47