Le polemiche sull’affitto di un monolocale a Bologna riaccendono il dibattito sui prezzi degli affitti e sui limiti del mercato immobiliare regolato
Nei giorni scorsi ha destato grande attenzione l’annuncio di un monolocale di appena 8 metri quadrati a Bologna, proposto in affitto alla cifra di 600 euro mensili. La notizia, pubblicata dal Corriere della Sera, ha scatenato reazioni immediate da parte di lettori, consumatori e addetti al settore immobiliare. Questo annuncio sembra infatti diventato il simbolo di un mercato considerato da molti fuori controllo, con prezzi ritenuti sproporzionati rispetto agli spazi offerti. Tuttavia, la questione merita un’analisi più approfondita che non si limiti a demonizzare i proprietari o a gridare allo scandalo: è necessario inquadrare la vicenda in una riflessione più ampia, che assuma come base la teoria economica e, in particolare, i principi del mercato e il ruolo che libertà e responsabilità rivestono in detto ambito.
Alla luce di ciò, è necessario considerare che in un sistema basato sull’economia di mercato, ogni soggetto è libero di compiere le proprie scelte e di stabilire le condizioni che ritiene più opportune, muovendosi nel perimetro apprestato dalla legge. Ciò significa che il proprietario ha il diritto di fissare autonomamente il canone di affitto per il suo immobile, proprio come il conduttore è libero di accettare o rifiutare l’offerta. Non esiste, è evidente, alcun obbligo che imponga al secondo di prendere in affitto una determinata abitazione, né al primo di stabilire un prezzo che soddisfi le aspettative del richiedente.
Se la domanda di un certo tipo di unità abitativa è elevata, è naturale che i prezzi salgano. Siffatto fenomeno è riconducibile alle leggi di domanda e offerta, che è uno dei pilastri dell’economia di mercato. Esse assumono che, quando la domanda per un certo tipo di unità abitativa cresce e l’offerta non riesce a soddisfarla, si innesca una pressione sui prezzi, che tendono ad aumentare. È un meccanismo che riflette il valore percepito di quell’unità abitativa: più è desiderata, maggiore sarà il prezzo che gli acquirenti saranno disposti a pagare, spingendo così i valori di mercato verso l’alto. D’altro canto, se l’offerta non trova riscontro nella domanda, sarà il mercato stesso a riequilibrare le cifre, registrando una tendenza al ribasso dei prezzi in presenza di un eccesso di offerta, quando cioè le unità abitative disponibili superano la domanda. Anche questo è riconducibile alle medesime leggi ed un processo naturale di autoregolazione del mercato, che risponde alle variazioni di interesse degli acquirenti e alle condizioni economiche generali, contribuendo a mantenere le cifre in linea con la reale capacità e volontà di spesa del pubblico.
L’annuncio del monolocale da 600 euro, per quanto possa apparire “estremo” agli occhi di molti, esprime le menzionate dinamiche e rappresenta semplicemente un’opportunità che il locatore mette a disposizione e che il consumatore è libero di accettare o meno. Se non dovesse trovare interesse, il prezzo verrebbe probabilmente abbassato, oppure l’annuncio modificato per risultare più appetibile o addirittura rimosso. In questo contesto, ognuno gioca il proprio ruolo: il locatore cerca di ottenere un ritorno economico dall’immobile posto in locazione, mentre il potenziale inquilino valuta le offerte e decide se esse soddisfano le sue esigenze.
A fronte di ciò, il Corriere milanese e altre testate hanno presentato la notizia con toni allarmistici, quasi come se l’annuncio di per sé fosse una provocazione o una violazione dell’etica immobiliare. È un approccio che però ignora un aspetto fondamentale: in un mercato libero, ossia non condizionato dalle interferenze della mano pubblica, le scelte economiche si basano su scambi volontari, senza imposizioni. Demonizzare i proprietari che propongono prezzi ritenuti “eccessivi” non solo è ingiusto, ma distorce la percezione delle dinamiche economiche, creando un clima di sfiducia verso chi investe nel settore immobiliare. Inoltre, alimentare simile parziale narrativa spinge a focalizzare l’attenzione sul singolo annuncio, piuttosto che sui veri problemi strutturali del mercato.
Uno degli effetti negativi di tale falso allarmismo è infatti quello di sviare l’attenzione dalle vere cause dell’ipotizzato “caro affitti”. In Italia, invero, una pesante tassazione sugli immobili, il regime vincolistico con le numerose regolamentazioni e le spese accessorie legate alla gestione dei fabbricati finiscono per incidere sui prezzi finali. Piuttosto che additare i proprietari, sarebbe più costruttivo analizzare il contesto normativo e fiscale che incide sugli scambi e, conseguentemente, sulle scelte di chi affitta.
Il mercato immobiliare italiano, è innegabile, è fortemente regolamentato. Le norme impongono vincoli sia per quanto riguarda la messa in affitto dei fabbricati sia per quanto concerne le condizioni dei contratti. Tali vincoli, benché siano stati introdotti con l’erroneo convincimento di tutelare una delle parti coinvolte e specialmente gli inquilini, asseritamente considerati contraenti deboli, hanno contribuito a creare una situazione di rigidità, nella quale i locatori sono spesso obbligati a rispettare standard che incrementano, e sovente in modo esponenziale, i costi di gestione dei loro beni. A ciò si aggiunga una gravosa pressione fiscale, che rende poco conveniente l’attività locatizia.
I due fattori, combinati, producono poi un effetto collaterale evidente: i proprietari, trovandosi a sostenere costi sempre più elevati, sono spinti a incrementare i canoni di affitto per compensare costi e spese. Ciò non è solo una questione di scelta individuale, ma una conseguenza del contesto normativo e fiscale in cui si trovano a operare. Pertanto, è difficile chiedere che i prezzi degli affitti si abbassino senza intervenire sulle cause strutturali che ne influenzano la determinazione. Un mercato realmente libero si fonda invece sul principio della libertà di scelta.
L’annuncio del monolocale a 600 euro rappresenta quindi un’offerta all’interno di un sistema in cui, almeno teoricamente, domanda e offerta dovrebbero trovare un equilibrio senza interferenze. Se un consumatore ritiene che il prezzo sia troppo alto, ha la possibilità di rifiutare e cercare altrove. Questa dinamica è alla base del libero mercato, dove il prezzo di un bene o di un servizio si stabilisce in base alla sua domanda e alla sua disponibilità.
Tuttavia, perché questo equilibrio funzioni correttamente, è essenziale che il mercato sia lasciato il più possibile libero da vincoli e interferenze esterne. Diversamente, quando il prezzo di un bene è distorto da regolamentazioni o da imposizioni fiscali, il libero gioco tra domanda e offerta, la catallassi, viene alterato, e i prezzi non riflettono più le reali condizioni del mercato, come del resto può senz’altro desumersi proprio dall’offerta di un monolocale a 600 euro, che appare inequivocabilmente come il sintomo di un sistema che non permette alle dinamiche di mercato di operare senza restrizioni.
Invece di demonizzare singoli annunci o colpevolizzare i proprietari, sarebbe pertanto più costruttivo cercare soluzioni che favoriscano una maggiore libertà di mercato. Ridurre la pressione fiscale sugli immobili e snellire le regolamentazioni potrebbe contribuire a creare un ambiente più flessibile, in cui i prezzi si stabiliscono naturalmente in base alla domanda e all’offerta.
In tal modo, si potrebbe evitare il fenomeno del “caro affitti” senza imporre limiti o obblighi, ma lasciando che sia il mercato stesso a rispondere alle esigenze dei cittadini. “L’essenza di un mercato libero – ha scritto Milton Friedman – è che nessuno è costretto a fare alcunché; ogni scambio è volontario e l’unico modo per guadagnare qualcosa è offrire all’altro qualcosa che egli preferisca in cambio”.
Aggiornato il 04 novembre 2024 alle ore 13:03