Una nuova imposta che restringe la libertà di scelta con il pretesto della salute pubblica
Dopo numerosi rinvii, la sugar tax, inserita dal governo Conte 2 nella manovra del 2020, dovrebbe vedere la luce a partire dal 1° luglio 2025. Si tratta di una nuova imposta che si applica a importatori, distributori e produttori di bevande zuccherate, imponendo un costo aggiuntivo di 10 euro per ettolitro sui prodotti pronti al consumo e di 0,25 euro per chilogrammo per quelli concentrati. La giustificazione ufficiale dietro tale misura è duplice: promuovere la salute pubblica riducendo il consumo di zuccheri e ottenere nuove risorse per coprire le spese pubbliche.
L’idea – a ben vedere – non è nuova e rientra in quella serie di interventi che vedono lo Stato agire con vari gradi di controllo e influenza sulla vita dei cittadini. Così, accanto allo Stato etico, a quello educatore, allo Stato muratore o imprenditore, allo Stato ecologista o assistente sociale e via dicendo, si sta adesso delineando l’ulteriore figura, quella dello Stato dietologo, che assume su di sé il compito di correggere abitudini considerate nocive.
È senza dubbio una politica che porta a una trasformazione del ruolo delle istituzioni e degli apparati, i quali assumono sempre più un carattere paternalistico, intervenendo nel comportamento dei cittadini non solo per promuovere la salute pubblica, ma per regolare i consumi privati. Le relative misure finiscono, tuttavia, per intaccare la libertà di scelta individuale e impattano in modo pesante su alcune fasce della popolazione. La tassa, che grava su bevande e alimenti dolci, è infatti destinata a ricadere in larga parte sui consumatori, colpendo in modo sproporzionato le famiglie a basso reddito. Per chi dispone di risorse limitate, l’aumento del prezzo sui prodotti zuccherati diventa così una penalizzazione significativa. In questa prospettiva, la sugar tax risulta una misura che colpisce le persone con minori possibilità di spesa, limitando la loro libertà di scegliere quali beni consumare.
Oltre a rappresentare un costo aggiuntivo per le famiglie, detta imposta appresta nuove barriere fiscali alle aziende del settore dolciario, che devono sostenere un aumento dei costi che inevitabilmente si trasferirà sui consumatori. Per molte imprese, specialmente quelle di piccole dimensioni, essa riflette una sfida rilevante in termini di sostenibilità economica, che può tradursi in una riduzione delle vendite e, di conseguenza, in una potenziale perdita di posti di lavoro.
L’intero mercato risulta in tal modo distorto, e i consumatori si troveranno a fronteggiare una scelta limitata o comunque influenzata dal rincaro fiscale, innescando una forma di controllo indiretto da parte dello Stato sulle preferenze d’acquisto dei cittadini.
Da altra prospettiva, la sugar tax è una misura problematica perché mina i principi di responsabilità individuale e di autonomia nelle scelte personali. In una società aperta e libera, ogni cittadino dovrebbe avere il diritto di decidere autonomamente cosa acquistare e consumare, senza interferenze paternalistiche dello Stato. Quest’ultimo dovrebbe astenersi dall’adoperare la leva fiscale per tentare di scoraggiare comportamenti asseritamente dannosi e limitarsi invece a promuovere campagne di educazione e informazione, le quali costituiscono vie molto più efficaci per promuovere una società sana, dove i cittadini siano consapevoli dei benefici di uno stile di vita equilibrato e scelgano senza imposizioni.
Un programma di sensibilizzazione pubblica avrebbe inoltre un impatto a lungo termine più significativo della coercizione fiscale e non violerebbe la libertà individuale.
Riguardato sotto la diversa luce della teoria economia, può ritenersi che il tributo in discussione introduca una serie di effetti distorsivi nel mercato. In primo luogo, l’imposizione di una tassa sui prodotti zuccherati altera artificialmente il rapporto tra domanda e offerta, riducendo il consumo in maniera forzata e non basata su scelte di mercato naturali. I gravami fiscali di questo tipo agiscono in realtà da barriera all’ingresso per alcune categorie di consumatori, specialmente per chi dispone di meno risorse, creando una limitazione d’accesso che non ha base in una domanda realmente diminuita, ma in un prezzo indotto al rialzo.
Vi è anche da considerare che i mercati funzionano meglio quando le forze di domanda e offerta possono agire liberamente, portando all’allocazione più efficiente delle risorse. Le imposte sui consumi, invece, creano alterazioni che riducono il benessere complessivo, limitando la scelta dei consumatori e restringendo la concorrenza. A lungo andare, misure come quella in discussione possono anche generare effetti collaterali indesiderati, come il trasferimento della produzione in Paesi dove la pressione fiscale è minore o l’aumento dei prezzi anche su altri beni che potrebbero essere percepiti come “dannosi”. Ciò non solo spinge i consumatori verso un mercato ristretto, ma limita le possibilità per le imprese di operare in un ambiente competitivo e libero. L’interferenza della mano pubblica, oltre a essere problematica in termini di libertà personale, ostacola quindi la concorrenza e riduce l’efficienza del mercato, minando così la capacità delle imprese di rispondere alle preferenze effettive dei consumatori.
In definitiva, la sugar tax esprime un esempio di intervento statale che sacrifica la libertà individuale in nome di un ideale di salute pubblica imposto dall’alto. La strada migliore per promuovere la salute pubblica risiede, come già detto, nell’educazione e nell’informazione, non nella coercizione e nel controllo.
Una società libera dovrebbe fondarsi sulla fiducia nella capacità dei singoli di scegliere in modo consapevole e responsabile, senza bisogno di uno Stato dietologo che interferisca con le decisioni private e personali di consumo.
La libertà individuale è difatti il principio su cui si basa la dignità della persona e si esprime attraverso la possibilità di scegliere, anche correndo il rischio di sbagliare. Come ha sottolineato Frédéric Bastiat: “La società prospera quando i suoi membri sono liberi di perseguire il proprio interesse senza intromissioni”. Al contrario, credere che ogni decisione personale debba essere corretta o guidata dallo Stato significa sminuire l’autonomia dei cittadini e ridurre la società a un insieme di individui che non sono considerati all'altezza di prendersi cura di sé.
Viene in sostanza compressa la libertà e sminuita la responsabilità individuale all’interno di uno Stato che si fida sempre meno della capacità di giudizio dei propri membri.
Aggiornato il 31 ottobre 2024 alle ore 11:44