Criptovalute: la mannaia del fisco soffoca l’innovazione

Nel 2025 entrerà in vigore una super-tassazione del 42 per cento sulle criptovalute, un provvedimento che mette a rischio la crescita di uno dei settori più dinamici e innovativi dell’economia digitale, minando la libertà economica e spingendo gli investitori a cercare alternative all’estero.

Il recente annuncio del governo italiano di voler aumentare, a partire dal 2025, la ritenuta sulle criptovalute, portandola dal 26 per cento al 42 per cento, solleva numerosi interrogativi e preoccupazioni, soprattutto tra gli investitori e gli appassionati del settore. Si tratta di strumenti considerati da molti come l’emblema della libertà finanziaria e dell’innovazione tecnologica, ma che ora vengono piuttosto visti come bersaglio di un provvedimento che rischia di comprimere uno dei settori più dinamici del mercato monetario moderno.

Com’è ormai acquisito, le criptovalute, anche conosciute come monete elettroniche, valute digitali o crittografiche e altre denominazioni, hanno avuto origine spontanea come una risposta alla crescente insoddisfazione verso il sistema finanziario tradizionale, fortemente controllato da banche centrali e autorità pubbliche, e sino sono evolute come asset alternativi capaci di aggirare le limitazioni imposte dalle istituzioni monetare. Basate su tecnologie decentralizzate, come la blockchain, e caratterizzate dall’assenza di un istituto centrale, offrono agli utenti un maggiore controllo sulle proprie risorse finanziarie e transazioni. Detta rivoluzione digitale, promossa inizialmente da Bitcoin nel 2009, ha portato allo sviluppo di numerosi altri mezzi digitali, ciascuno con le proprie caratteristiche e potenzialità.

Uno degli aspetti più apprezzati delle citate monete elettroniche è la loro capacità di operare al di fuori dei confini tradizionali del sistema bancario. La quale cosa comporta che, in assenza di intermediazione da parte degli istituti di emissione, le transazioni risultano in genere più rapide e meno costose. Inoltre, la natura pseudonimica di molte offre un livello di privacy che non è facilmente ottenibile con i metodi finanziari usualmente adoperati. Non sorprende, quindi, che siano state accolte con grande entusiasmo dagli investitori, in particolare modo da coloro che cercano soluzioni alternative a strutture ritenute troppo regolamentate e controllate dallo Stato.

Tuttavia, con l’aumento della popolarità di detti mezzi digitali, i governi di tutto il mondo hanno cominciato a osservare con crescente, e nondimeno interessata, attenzione il settore. Non ha fatto eccezione – ovviamente – quello italiano, che ha deciso di intervenire con una politica fiscale aggressiva, decidendo di portare la tassazione al 42 per cento a partire dal 2025. Secondo le intenzioni dell’Esecutivo, la misura richiamata dovrebbe garantire un equo prelievo fiscale in un ambito che, fino a poco tempo fa, era caratterizzato da una tassazione minima o assente. A sostegno dell’iniziativa, le autorità ritengono che le criptovalute, come qualsiasi altro strumento finanziario, debbano essere soggette a imposte, in particolare considerando i profitti che molti investitori hanno realizzato negli ultimi anni grazie all’apprezzamento del loro valore.

Non è revocabile in dubbio che tale intervento statale sia del tutto ingiustificato ed esprima, in pratica, un ulteriore attacco alla libertà economica. Il principio di base della tassazione sulle criptovalute rappresenta, infatti, una violazione del diritto individuale di disporre delle proprie risorse senza interferenze pubbliche. Le criptovalute, proprio per la loro natura decentralizzata, sono state create con l’intento di ridurre il controllo statale e la regolamentazione eccessiva. Imponendo una tassazione e per di più una così alta, i decisori italiani rischiano di minare la fiducia degli investitori in uno dei pochi settori economici in crescita, soffocando l’innovazione e riducendo la competitività del Paese nel panorama globale.

Inoltre, la scelta di siffatto elevato carico fiscale sembra contraddire un principio economico fondamentale: la necessità di ridurre l’intervento statale per favorire una maggiore efficienza del mercato. Anziché introdurre ulteriori restrizioni, lo Stato dovrebbe ridurre il proprio perimetro e mirare a creare un contesto normativo più snello e flessibile, in grado di attirare investimenti e stimolare l’innovazione. La super-tassazione delle criptovalute, invece, potrebbe spingere gli investitori a cercare giurisdizioni erariali più favorevoli, generando un deflusso di capitali che rischia di danneggiare l’economia nazionale nel lungo termine.

Un’altra critica, che non si può fare a meno di muovere, riguarda l’imposizione davvero esorbitante, di cui si è pure prima fatto cenno, su un’innovazione tecnologica in fase di sviluppo. Le monete decentralizzate non sono ancora completamente integrate nei modelli economici convenzionali e le loro potenzialità restano in gran parte inesplorate. Le ricerche nel campo delle scienze economiche e sociali dimostrano come, in contesti di innovazione emergente, un onere fiscale pesante possa frenare l’espansione di settori ad alto potenziale. Stabilendo un fardello elevato, si rischia di soffocare la crescita di un comparto che potrebbe, invece, fungere da motore per lo sviluppo futuro. Al contrario, sarebbe piuttosto consigliabile e più efficace ridurre la pressione fiscale, consentendo così a queste tecnologie di svilupparsi in maniera più libera e competitiva.

Senza contare, infine, che le criptovalute, nate come già prospettato, proprio per sfuggire al controllo centralizzato, non possono essere trattate come strumenti finanziari tradizionali, e che l’indicata intromissione della mano pubblica è solo il primo passo verso ulteriori restrizioni e tassazioni che finiscono per ostacolare il mercato e la cooperazione volontaria e soffocare la libertà economica, come del resto ha avvertito Benjamin Constant: “Quando lo Stato ha iniziato a prendere parte agli affari privati degli individui, non può più fermarsi, ed ogni nuova ingerenza genera altre nuove”.

In definitiva, la programmata tassazione al 42 per cento sulle criptovalute è un esempio lampante di come l’intervento statale possa, in molti casi, generare più danni che benefici. Un approccio meno pervasivo e penalizzante, basato sulla fiducia nel mercato e nell’iniziativa privata, sarebbe sicuramente più adeguato a promuovere l'innovazione e la crescita economica.

Come ha sottolineato Adam Smith: “La grandezza dello Stato non deve essere misurata dal peso delle tasse che impone, ma dalla prosperità che permette ai suoi cittadini di raggiungere”. Le criptovalute rappresentano un’opportunità unica per ridefinire il concetto di finanza, ma rischiano di essere vanificate da politiche fiscali troppo aggressive e punitive. Il governo italiano, se veramente interessato a creare un ambiente favorevole all’innovazione e alla crescita, dovrebbe ripensare il provvedimento e adottare misure più flessibili e favorevoli al risparmio e agli investimenti.

Aggiornato il 22 ottobre 2024 alle ore 12:31