Come funghi dopo un’abbondante pioggia, spuntano idee che diventano subito notizie, sulle proposte che verranno inserite nella Manovra di bilancio per il 2025. La situazione non è rosea e nessun politico vuole allarmare l’elettorato, soprattutto a poche settimane dal voto in Liguria, Emilia-Romagna e Umbria (effetti perversi di considerare politico anche il risultato elettorale amministrativo locale).
Le leve utilizzabili sono sempre le stesse: aumentare le tasse, ridurre la spesa, fare debito.
La prima misura è facile e piace a molti. La cosa non meraviglia in un Paese in cui la metà degli italiani (47 per cento) non dichiara redditi e il 14 per cento paga i due terzi del totale e le imprese hanno un carico fiscale complessivo pari a circa il 60 per cento.
La seconda misura è più complessa, vuoi per la contrarietà da parte del settore politico e della burocrazia (i budget sono stati inseriti nei sistemi Mef già da mesi e nessuno ha ridotto gli stanziamenti previsti e ben si guarda dal farlo di propria sponte), vuoi per la forte ideologia imperante nell’opinione pubblica per cui ogni volta che si propone di tagliare la spesa si invoca il dramma dei tagli alle pensioni, alla sanità e all’istruzione, (niente viene detto sulla giustizia, chissà come mai, quando il suo malfunzionamento, riconosciuto da tutti, genera, ad esempio, il mancato investimento da parte di soggetti stranieri nel nostro Paese). Eppure, l’Italia è il secondo Paese nell’Ue che spende di più per le pensioni, con una spesa pari al 16,3 per cento del Pil; al primo posto c’è la Grecia con il 16,4 per cento, mentre la media europea è pari al 12,9 per cento. Dato che tra i grandi Paesi europei, la Spagna ha una spesa pensionistica pari al 13,9 per cento del Pil, la Francia al 14,9 per cento e la Germania al 12,2 per cento, si potrebbe auspicare quanto meno un allineamento del dato italiano a quello europeo, con buona pace di chi evoca tragedie e drammi collettivi, assenti nei Paesi d’oltralpe. Quanto alla sanità in un Paese che promette tutto a tutti ma poi dà poco e a pochi, mentre si legge di continuo di scandali, di storie di malasanità, e dove il problema sarebbe il fatto che una siringa costi di più in Calabria che in Lombardia (esempio spesso invocato − a torto − per spiegare i guai della sanità, perché i prezzi sono composti da diversi fattori che però in pochi conoscono ma tutti commentano, ma ne parleremo in un altro taccuino, promesso) provare a sprecare meno, forse porterebbe tutti sulla “diritta via” che sembra essere stata smarrita da quasi 60 anni (è del 1968 il film diretto da Luigi Zampa ed interpretato da Alberto Sordi, Il medico della mutua, che già delineava tutte le storture di un sistema che è solo peggiorato, nel tempo, nella maggior parte dei casi). Come sostiene il professor Silvio Garattini la medicina è cambiata negli ultimi 75 anni, ossia da quando è stato creato il Sistema Sanitario nazionale e a livello organizzativo va adeguato alle esigenze della nuova medicina. Soldi spesi in modo diverso per rispondere alle nuove esigenze sanitarie.
Da ultimo la spesa per l’istruzione (obbligatoria), che in Italia viene destinata più del 96 per cento del totale per pagare insegnanti e altro personale. Leggermente migliori le percentuali nell’istruzione non obbligatoria.
Neanche a dirlo, il peso della rappresentanza sindacale sia nel mondo pensionistico, che in ambito sanitario e dell’istruzione è notevole. Quale categoria, dunque, sarebbe disposta a perdere il potere della gestione della spesa? Tuttavia, dobbiamo ricordare che attuale debito ricade ormai non solo sulle spalle dei figli, ma anche su quelle dei nipoti e dei pronipoti dei contribuenti italiani, e con ogni probabilità già si è alla ricerca di un ulteriore grado di parentela su cui scaricare le rate del debito monstre che ci contraddistingue ormai dai primi anni 90 in modo significativo. Sul punto di recente l’ex ragioniere generale dello Stato Andrea Monorchio ha rilasciato un’interessante intervista nella quale ripercorre alcuni tragici momenti della storia del bilancio italiano e del debito pubblico, della quale si suggerisce caldamente la lettura.
Così, tra una dichiarazione ai media, un’audizione in commissione e qualche notizia pubblicata tanto per avvelenare il clima politico autunnale, i cittadini/sudditi sbigottiti attendono la nuova legge di Bilancio, e quel 14 per cento di contribuenti che paga quasi per tutti, continua a sperare che la libertà economica ed imprenditoriale possa un domani non troppo lontano tornare ad essere il motore economico e sociale di questo Paese. Al governo servirebbe il sostegno dei corpi intermedi, per affrontare una situazione debitoria che per oltre il 90 per cento ha ereditato dagli ultimi 20 governi che l’hanno preceduto, e che si combatte in un modo solo: facendo crescere la libertà economica, favorendo l’intraprendenza imprenditoriale e riducendo drasticamente il peso della burocrazia, sospingendo l’innovazione, mettendo il Paese nelle condizioni di avanzare tecnologicamente.
Riusciranno ad invertire la rotta?
Aggiornato il 11 ottobre 2024 alle ore 17:17