Innovare non vuol dire rinnovamento

Il futuro di molte aziende si basa sul concetto di innovazione dell’azienda stessa. Ovvero, “essere altro da sé”, che non significa dimenticare da dove si è venuti. Perché innovare non è sinonimo di rinnovamento, cioè “svecchiamento”, che attiene più a un concetto di rinnovo tecnologico, mentre l’innovamento attiene più all’aspetto della filosofia aziendale e questa è la base su cui costruire un mercato mettendo insieme le esperienze del passato, immaginando un futuro dove situazioni di nuove opportunità (create e non subite) necessitano d’una diversa organizzazione, soprattutto strutturale, in grado di ottimizzare i vari piani, anche umanistici, di un nuovo progetto produttivo. Importante è tenere conto del contesto lavorativo (a 360 gradi) in cui essa si svolgerà e che dovrà essere regolata sugli studi di marketing (non solo statistici, ma anche creativi) incentrati, questi, sui dati di vendita più attrattivi, facilmente a disposizione e – quindi – da subito attuabili, dove il fattore principale sarà la “cura del cliente” con servizi a lui dedicati, che non lo facciano sentire soltanto un numero anonimo tra tanti utenti.

L’analisi personalizzata di tutti gli elementi che contraddistinguono l’attività e la personalità del cliente saranno oggetto di una più che attenta valutazione (non solo statistica) al fine d’individuare le varie fasi d’un possibile sviluppo positivo del suo proponimento. Questo piano imprenditoriale, a volte molto complesso e articolato, potrebbe essere scomposto e poi ricomposto secondo una diversa proiezione progettuale tesa a ottimizzare una migliore produttività (che non sempre è quella maggiore) utilizzando strumenti bancari studiati appositamente che personalizzando il rapporto lo renderebbero più aderente e coerente alle ambizioni e al capitale aziendale del cliente. È di tutta evidenza come ci sia una significativa fetta di mercato interessata a intrattenere un “dialogo” virtuoso di partnership con il sistema bancario, le cui attenzioni al cliente nel tempo presente, ma proiettate in quello futuro, potrebbero rivelarsi proficue per ambo le parti, operando scelte decisionali ottimizzanti e tenendo conto del concetto di “sostenibilità” (utilizzo equilibrato delle risorse) senza il quale sarebbe molto difficile evitare il degrado dei rispettivi interessi aziendali.

Il “fattore sostenibilità” sarà determinante per ogni azienda qualora non camminasse di pari passo con uno “stop” deciso e rigoroso delle istituzioni verso il declino dei valori umanistico-sociali, il cui logoramento e la sua poco intelligente sottovalutazione stanno provocando l’attuale scadimento dell’industria europea, troppo stimolata questa (e accerchiata) brutalmente dal “mercato selvaggio” dove l’unico obiettivo è il consumo per il consumo che alla fine, inevitabilmente, consumerà se stesso. Una risposta potrebbe essere una forte integrazione delle riserve di energia, adattandole obbligatoriamente alla più corretta gestione delle variabilità delle condizioni che si stanno verificando, specialmente nelle zone ad alta densità di popolazione dove i problemi sono innumerevoli perché innumerevoli sono le cause. Ciò comporterà considerazioni ancora più accorte sulla possibilità di valutare un ritorno a vivere in agglomerati “a misura d’uomo” più gestibili, meno automatizzati, sul modello di quelle città dove la qualità del vivere quotidiano è ancora “un valore” proprio per i “servizi efficienti” che queste sono in grado di offrire.

Quei territori urbani che attraggono di più, dove il tempo è “parcellizzato” ma non sprecato perché ben utilizzato sono quelli dove le persone possono occuparsi anche del sé e della propria qualità esistenziale che quando è privata delle proprie emozioni personali si deprime e a volte si ammala pensando, con qualche ragione, che forse una vita vuota non sempre vale la pena di essere vissuta. Accompagnare e stimolare i desideri dei cittadini è sempre stata una delle migliori strategie di marketing per migliorare la produttività quale che sia il prodotto, investendo sui desideri e le ambizioni delle persone che hanno coscienza del livello del loro profilo sociale, culturale e personale, che per essere considerato “alto” dovrebbe poter ispirare fiducia nei propri interlocutori, e questo è appunto il compito delle istituzioni, delle persone, delle aziende tutte, perché quello che conta davvero per il buon funzionamento dei mercati è la capacità d’infondere tranquillità e serenità nelle comunità. Il sistema bancario dovrebbe essere parte integrante, importante, nell’azione di riconquistare il valore di “responsabilità” e appunto di fiducia, nel solco del vecchio adagio bancario del “mutuo soccorso”, quello che faceva riferimento al non ancora superato “modello contadino”, dove si viveva in funzione della competenza, cioè di quello che si conosceva e si realizzava nei fatti concreti, offrendo un valido contributo alla vita delle comunità che prosperavano sia nelle città che nei borghi, non nell’utopia del “villaggio globale” che si è rivelata una truffa, e non solo ideologica.

Forse, oggi con maggiore attenzione alla realtà degli accadimenti e meno ai “chiacchiericci” queruli e insignificanti dei salotti dei professionisti delle balle fantasiose, potremmo tornare ad apprezzare il suono di quelle campane senza interessi soggettivi che dall’alto dei campanili avvertivano il popolo di quello che stava accadendo, permettendo così alle comunità di provvedere alla bisogna, prendendo le decisioni più idonee, con il senso della solidarietà e della tolleranza. Parlo dei tempi quando andare in banca era come andare in chiesa, cioè un luogo di speranza, dove il piccolo interesse di bottega conviveva senza problemi con i valori umanistici, dove la comunità, con grande senso dell’appartenenza, tutelava il singolo secondo le regole del bene comune, perché tutti sapevano cosa fosse lo stare insieme, offrire aiuto, consapevoli che prima si semina con cura e solo dopo si raccoglie, ma facendo bene attenzione anche ai dettagli e ai particolari, senza cui non si vincono le sfide e meno che mai quelle importanti. E vivere dignitosamente importante lo è. Lo sappiamo. Credo che il sistema bancario dovrebbe rivestire sempre più un ruolo da protagonista, risultando così decisivo nel meccanismo della spinta virtuosa di creazione dei posti di lavoro, quelli che offrirebbero certezze al mondo dell’economia sana, in un’Europa unita non solo da una moneta ma da interessi condivisi pur nella diversità delle varie culture e dei differenti percorsi storici.

Penso che non esista soltanto “una” soluzione sanificatrice ai disagi prodotti da malaugurati movimenti finanziari, troppo spregiudicati perché troppo “irresponsabili”. Credo che invece si debba tornare a ragionare in termini di supporto finanziario all’impiego del capitale umano affinché con migliore formazione si abbiano maggiori competenze. Al contrario, ho l’impressione che il mondo finanziario nell’universo dell’economia si muova operando per semplice azione speculativa nel tempo presente, in danno di prioritari progetti futuri, figli legittimi di progetti appropriati che avranno un futuro quando anche la politica ritroverà la sua credibilità e autorevolezza. È di tutta evidenza che curando al meglio possibile la gallina dalle uova d’oro, cioè proteggendo le aziende che producono posti di lavoro e quindi benessere, diminuendo il carico fiscale e migliorando i servizi pubblico-burocratici, aumenterà il numero delle uova. Lo sforzo delle istituzioni tutte, ma soprattutto quelle bancarie, dovrebbe essere rivolto a mio avviso, alla possibilità di traghettare, in questo momento storico balbettante e traballante, obiettivi di più ampio respiro, verso la sicurezza per il domani. Impegno dello Stato che così diventerebbe “vettore di trasporto” di ottimismo e concretezza, facendo incontrare i mercati (non più selvaggi) con il concetto sano di “consumo sostenibile”, frutto di un pensiero produttivo finalmente davvero innovativo, che vada oltre i vecchi schemi obsoleti del Novecento.

Un pensiero produttivo, quindi, non superficiale e non solo speculativo, ma basato sulla fiducia e non sull’invidia sociale che si trasforma purtroppo in odio sociale. Sarebbe necessario un ragionamento non limitato, sparso su una maggiore e ritrovata offerta di responsabilità dei ruoli e delle funzioni, da tradurre in credibilità e questa in certezze per il futuro, con azioni imprenditoriali solide, dalle fondamenta profonde, sulle quali è lecito avere aspettative dando e ricevendo credito con corrette garanzie ed equi vantaggi comuni. Tutti sappiamo che gli affari virtuosi si fanno insieme tra persone perbene annullando diffidenze e malintesi, sospetti e disistima. Un sistema bancario capace di offrire a una “selezionata” clientela formatasi da e con una sua precisa fisionomia (filosofia aziendale innovativa) diventerebbe forse stimolo ed esempio da seguire con attenzione dalle classi dirigenti che ormai spesso non dirigono più, ma seguono e inseguono piuttosto modelli non più sostenibili, non più in grado di essere seduttivi né di mantenere quanto previsto e promesso, non essendo quindi più in grado di accettare le sfide del futuro, perché è più semplice ignorare o sottovalutare i problemi rimandandoli al domani.

Al contrario, servirebbe un patto tra istituzioni per riproporre il concetto di cui purtroppo non si è mai abusato, quello di solidale sostegno alla vita dei cittadini creando occupazione con una partecipazione da attori protagonisti e non solo da spettatori non paganti che assistono al desolante spettacolo della mancanza di lavoro. Forse una modalità esistenziale, basata sulla continua innovazione del sé, delle aziende, delle istituzioni, delle classi dirigenti, mettendo al centro il nostro “essere umani” piuttosto che questo “apparire” solo virtualmente, potrebbe smuovere questa inerzia del potere, invitandolo a giocare su campi diversi dal suo con coraggio, affrontando gare difficili con la responsabilità che gli compete. In fondo, il vivere quotidiano non è purtroppo nelle mani di chi il potere non lo possiede se non nel lavoro che svolge e questa non è cosa da sottovalutare. Sono persone che ogni giorno sanno che alla loro porta busserà un destino crudele e per questo hanno bisogno d’aiuto. Uomini e donne a cui non si può più dire “ripassi domani e poi vedremo”, perché non sanno se il domani per loro ci sarà.

Aggiornato il 08 ottobre 2024 alle ore 09:08