Un’agenda suicida per l’Europa

L’intero progresso nella civiltà consiste nel conseguire risultati maggiori o migliori con lo stesso o minore sforzo o, come si dice in termini moderni, con meno mezzi di produzione. Si cresce solo producendo di più rispetto a quanto si consumi e il livello di produttività aumenta solo se c’è questa differenza. L’unico modo sostenibile per aumentare la ricchezza su larga scala è dunque aumentare la produttività dell’intera economia. Ciò significa produrre più beni e servizi con meno capitale, meno lavoro e meno input come ad esempio l’energia. È così che si alzano gli standard di vita e la competitività di un Paese.

Queste considerazioni mi sono venute fatte leggendo alcuni stralci del rapporto sul futuro della competitività europea concentrato su clima ed energia che Mario Draghi ha di recente presentato al Parlamento europeo. Quale medicina l’ex banchiere centrale propone per uscire dal declino industriale europeo? A suo avviso, dovremmo investire massicciamente nella ricerca e soprattutto nella “decarbonizzazione”. Secondo Draghi, è qui che risiede il vantaggio comparato dell’Europa. Davvero?

Nel 2011, in Germania, il governo Merkel adottò un modello energetico nella convinzione che avrebbe potuto raggiungere il 100 per cento di produzione di elettricità rinnovabile entro il 2050. Questo modello chiamato Energiewende basato sulla sostituzione degli idrocarburi con le energie rinnovabili come sole e vento, ha condotto la Germania, un tempo potenza industriale invidiata a livello globale, al declino industriale essendo le rinnovabili inaffidabili, intermittenti e inefficienti. Ed è così che l’industria del Paese ha dovuto dipendere principalmente dal gas della Russia. Ora la rete elettrica tedesca, per non soffocare la crescita del Paese, utilizza in modo preponderante il carbone e sta valutando un sistema di razionamento per stabilizzare la ormai precaria rete elettrica verde. Il problema è che l’eolico e il solare sono fonti di energia intrinsecamente a bassa densità di flusso di energia, il che significa che richiedono input fisici, cioè mezzi di produzione, molto più elevati (beni capitali, lavoro) per produrre una data quantità di energia (rispetto a carbone, gas naturale o nucleare). Aumentare drasticamente i costi fisici per unità di energia prodotta è un passo indietro nello sviluppo evolutivo dell’umanità e porta solo a un risultato: il collasso degli standard di vita. 

Chiaramente, l’ostacolo naturale insormontabile della decarbonizzazione è la densità energetica. Mai nella storia dell’uomo siamo passati da una forma di energia più densa a una meno densa. Se guardiamo alla storia da una prospettiva energetica, vediamo quanto segue: legno, biomasse, carbone, petrolio, gas naturale, uranio. La biomassa è più densa di energia del legno e il carbone ancora più denso, e così via. L’energia solare è così diluita da richiedere masse di terra, lavoro e capitale per produrre una piccola frazione dell’elettricità che le centrali a carbone o nucleari potrebbero produrre con minor risorse. Questo è il motivo per cui gli impianti solari, applicati su larga scala, saranno sempre un totale fallimento. Consumare di più di quanto si produca richiede, per colmare la differenza, sussidi statali e quindi più tasse che abbasseranno gli standard di vita. Energia rinnovabile e dissipazione di risorse sono sinonimi.

È fisicamente impossibile per l’energia solare e l’eolica soddisfare le esigenze di un’economia moderna, o di qualsiasi economia al di sopra di un livello di esistenza medievale. Aspettarsi che le rinnovabili forniscano le grandi quantità di energia necessarie per guidare un’economia avanzata è come aspettarsi che un transit Ford che trasporta 800 kg faccia il lavoro di un camion da 300 tonnellate. Ci vorrebbero più di 300 transit e 300 autisti quindi più mezzi fisici, umani ed energia per fare lo stesso lavoro del camion. È in questo modo che le diseconomie di scala affliggono l’energia rinnovabile nel suo complesso e non sono confinate ai singoli impianti. Più impianti costruiscono, indipendentemente dalle dimensioni, maggiori saranno i loro costi di produzione.

Senza elettricità affidabile, la civiltà moderna non esiste. Ecco perché il passaggio a una società completamente elettrica è un’idiozia. La maggior parte dei leader in Occidente non comprende questa realtà. I paesi progrediti del mondo mantengono ancora alti gli standard di vita grazie agli idrocarburi mentre vivono in povertà i paesi dove le reti elettriche non possono funzionare senza fonti energetiche abbondanti, affidabili, scalabili, convenienti e flessibili. 

Attualmente, solo il carbone, il gas naturale, il petrolio e l’energia nucleare soddisfano questi criteri. In passato, i principali fattori determinanti la politica energetica erano la sicurezza, il costo e l’affidabilità perché fonti di energia non devono scarseggiare. La produzione dell’energia di massa deve essere la più economica possibile perché gli standard di vita e l’economia in generale dipendono dal contenimento dei costi, cioè dalla produttività. Se l’Europa non abbandonerà questa agenda suicida della decarbonizzazione imposta da modelli climatici assai discutibili, diventerà in poco tempo un deserto deindustrializzato.

La transizione da una fonte energetica densa ed efficiente a una fonte energetica meno densa ed efficiente non è mai stata tentata nella storia. L’energia è l’input più essenziale in qualsiasi economia. L’esplosione della crescita avvenuta durante la Rivoluzione Industriale è stata permessa dai progressi tecnologici derivanti proprio dall’uso economico dell’energia. Il vapore derivante dalla combustione del carbone ha trasformato il mondo e ha fatto uscire milioni di persone dalla povertà. Ma eccoci qui, quasi 250 anni dopo, a provare a fare il contrario.

Aggiornato il 26 settembre 2024 alle ore 11:41