Volkswagen, simbolo dell’industria automobilistica tedesca, è alle prese con una crisi che rischia di ridimensionarne il mito costruito in quasi novant’anni di attività. La prospettiva di serrande abbassate in fabbriche che hanno fatto la storia del settore è diventata un rischio concreto che aleggia su Wolfsburg e Bruxelles. “Non si può più escludere la chiusura di stabilimenti di produzione di veicoli e componenti”, sostiene Oliver Blume, ceo del gruppo. Il nodo centrale è la sovrapproduzione. In Europa, Volkswagen ha una sovracapacità produttiva di circa mezzo milione di vetture che non riesce a vendere, l’equivalente della produzione di due stabilimenti. Gli acquisti d’auto, dopo la pandemia, non sono tornati ai livelli precedenti. Questo divario tra produzione e domanda costituisce la prima fonte di preoccupazione. Volkswagen ha persino comunicato in una nota la possibilità di chiudere la fabbrica Audi, uno dei marchi più noti del gruppo, a Bruxelles, che attualmente impiega tremila lavoratori. Le serrande dello stabilimento verrebbero abbassate in tre fasi, al termine delle quali la quasi totalità dei posti di lavoro rischia di essere eliminata. Così, la produzione del modello Audi Q8 e-tron potrebbe essere spostata in Messico.
La crisi di Audi è il segnale di un malessere più profondo che affligge l’intero gruppo, tanto che Volkswagen potrebbe terminare il programma, in vigore dal 1994, che, impedendo licenziamenti fino al 2029, garantisce i posti di lavoro a circa 110mila dipendenti in Germania. Qualsiasi decisione in questo senso deve però ancora essere discussa con il Consiglio aziendale. Oltre alla contrazione della domanda, a pesare sul comparto automobilistico tedesco è la difficile transizione verso i veicoli elettrici. Nonostante investimenti ingenti, il gruppo non è riuscito a tenere il passo con Tesla e i nuovi produttori cinesi che stanno rapidamente conquistando il mercato. A questo si aggiunge il calo delle vendite di auto in Cina, un mercato chiave per Volkswagen. Ultimamente, le consegne nel Paese asiatico sono scese di quasi il 20 per cento, una flessione che ha influito pesantemente sui conti del gruppo.
La Cina, che un tempo era un mercato con una popolazione in crescita che richiedeva sempre più auto tedesche, genera ora forti preoccupazioni. Anche in casa la situazione è critica. Lo stabilimento di Wolfsburg, nella Bassa Sassonia, è un simbolo della potenza industriale di Volkswagen, ma rischia di essere tra i primi a subire tagli. Volkswagen ha annunciato un piano di riduzione dei costi di 10 miliardi di euro entro il 2026, un processo che passerà inevitabilmente attraverso chiusure e licenziamenti. I sindacati tedeschi parlano di un “giorno nero” per l’industria automobilistica. Nonostante le difficoltà, Volkswagen continua a cercare opportunità in Cina, dove ha avviato joint venture per sviluppare macchine elettriche, consapevole che il mercato automobilistico è sempre più spostato a Oriente.
Nel frattempo, tuttavia, la concorrenza asiatica guadagna rapidamente quote di mercato, quindi il successo non è garantito. Da una parte, è necessaria una ristrutturazione radicale per mantenere la competitività. Dall’altra, i sindacati sottolineano le conseguenze economiche e sociali che potrebbero derivare da repentini licenziamenti di massa. Anche la transizione verso la produzione elettrica, se da un lato rappresenta una necessità, dall’altro rischia di essere un’arma a doppio taglio, con margini di profitto troppo bassi e una concorrenza in crescita. Il colosso tedesco ha dalla sua parte una qualità riconosciuta in tutto il mondo e un’esperienza consolidata che i nuovi gruppi sono ancora lontani dal raggiungere. Il modello industriale che per decenni ha reso Volkswagen un’autorità indiscussa, tuttavia, non può rimanere invariato. Deve cambiare e il tempo a disposizione, in un settore altamente competitivo, non è mai molto.
Aggiornato il 05 settembre 2024 alle ore 10:08