I conti in ordine sono la prima riforma

Quella cominciata l’altro ieri è la settimana decisiva per la politica economica del Governo Meloni. A breve l’Esecutivo dovrà presentare a Bruxelles il Documento programmatico di bilancio, con cui tracciare l’andamento pluriennale della finanza pubblica e offrire evidenza convincente sul percorso di rientro dal debito monstre. Il Dpf è preliminare alla Manovra – la terza firmata da Giancarlo Giorgetti – che dovrebbe coniugare i desiderata politici della maggioranza con i vincoli di realtà e con l’eredità di un periodo di spesa incontrollata, dal Pnrr al superbonus. Per il Governo, la priorità è consolidare la riforma dell’Irpef, senza pregiudicare alcune misure bandiera messe in campo in questi anni: la decontribuzione (di per sé, uno strumento che sarebbe opportuno rivedere in profondità) e gli sgravi per le madri lavoratrici. Complessivamente queste misure assorbono circa 20 miliardi di euro, che vanno ricuperati attingendo prevalentemente a minori spese o maggiori entrate.

È dal modo in cui il Mef risolverà il rebus – compiendo scelte sia tecniche, sia politiche – che si capirà come il centrodestra desidera impostare la seconda parte della legislatura. Se ragioniamo in termini di ciclo politico, questo è il momento migliore per mettere le mani con serietà nel bilancio dello Stato: le elezioni sono sufficientemente lontane da poter ragionare su progetti a medio termine. Sono tre, in particolare, le sfide a cui il Governo dovrebbe applicarsi. La prima è calare le sue legittime visioni sul sistema tributario in un contesto di ordinarietà. Finora si è andati avanti a suon di provvedimenti di durata annuale (come la decontribuzione per i redditi medio-bassi), con la speranza di poterli rinnovare. Se il Governo è dell’idea di confermare queste scelte, dovrebbe avere la forza di inserirle all’interno del disegno dell’imposta sul reddito, abbandonando l’anomalia attuale, che passa attraverso la fiscalizzazione dei contributi previdenziali per i lavoratori a basso reddito.

La seconda sfida sarebbe passare da interventi chirurgici – più o meno condivisibili – a una revisione complessiva del sistema tributario, riassorbendo all’interno di un ampio ridisegno dell’Irpef le infinite spese fiscali che costellano l’ordinamento, ciascuna delle quali funzionale a esigenze specifiche (anche qui: più o meno condivisibili). Questa è un’operazione complicata e da svolgersi con grande serietà, anche perché una riduzione delle spese fiscali significa, nel breve, un aumento del carico fiscale, a meno che non sia compensata da eguali riduzioni di altre imposte. Da ultimo, non è possibile realizzare questi obiettivi agendo solo dal lato delle entrate: nessuna riforma del fisco può arrivare in fondo se non si accompagna a una riduzione della spesa. Tema sul quale, ancora una volta, non basta una collezione di interventi episodici: il Governo dovrebbe affiancare questi ultimi (inevitabili) a un libro bianco che esprima la sua visione su ciò che lo Stato deve fare (e su quello che non deve fare più) e su come deve farlo. Dobbiamo tutti essere grati al ministro Giorgetti per la prudenza e l’attenzione al rigore delle finanze pubbliche dimostrati in questi anni. I conti in ordine sono la prima riforma, ma perché essi non durino, come spesso è avvenuto in Italia, il tempo di un battito di ciglia della politica, c’è bisogno di farne l’architrave di un progetto di revisione del rapporto fra Stato e sudditi, ops, contribuenti.

Aggiornato il 04 settembre 2024 alle ore 10:02