Come ogni anno, il Meeting dell’Amicizia di Rimini ha affrontato il tema dell’Europa e del necessario rafforzamento del progetto comunitario per evitare ogni tentazione isolazionista e per colmare il divario economico con le superpotenze, Cina e Stati Uniti.
In particolare, tra gli interventi più incisivi e concreti, vi è stato quello del governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, che ci ha ricordato la necessità di creare una “capacità fiscale comune” per far funzionare in maniera più adeguata l’Unione economica e monetaria. Un passaggio significativo che ha messo d’accordo tutta la classe politica. Ma l’economista ha sottolineato anche il fatto che l’Italia abbia i suoi storici problemi strutturali: scarsa produttività, debito pubblico elevato (circa il 140 per cento in rapporto al Pil) e declino demografico.
Di questi aspetti, buona parte della classe politica discute con poco piacere, avendo scelto (negli ultimi dieci anni) le misure economiche e sociali più semplici e, nello stesso tempo, inutili e dispendiose per i conti dello Stato. Il superbonus edilizio 110 per cento, il bonus Giovani, gli ottanta euro in busta paga, il reddito di cittadinanza e l’invenzione del “navigator”, la pensione “quota 100” per il ricambio generazionale nei posti di lavoro (che non è avvenuto) sono solo alcuni esempi eclatanti e negativi che hanno fatto salire alle stelle il sopracitato debito pubblico, rendendo le imprese meno competitive ed esponendo il paese a choc finanziari esterni al punto da frenarne la crescita.
I recenti dati statistici della Banca d’Italia hanno certificato che l’ultima misura macroeconomica abbia raggiunto la bellezza di 3.000 miliardi di euro in termini di spesa, con un costo annuo di circa 90 miliardi di interessi. Tale scenario catastrofico è ovviamente causato anche dalle spese effettuate per il superbonus edilizio al 110 per cento, con oneri per lo Stato che ammontano a circa 123 miliardi di euro. È stata, purtroppo, portata avanti la pratica del “pasto gratis” che si è presto trasformata in un’abitudine consolidata attraverso la quale le maggioranze politiche di diverso colore hanno fatto credere agli italiani (per esigenze elettoralistiche) che la spesa pubblica sia senza costi.
In realtà, si tratta di una stangata per la collettività e per le nuove generazioni. Come è stato ripetuto più volte dagli economisti e dagli uffici tecnici delle istituzioni preposte (comprese quelle europee) e come ci ricorda anche l’attuale governatore della Banca d’Italia, la crescita economica del Bel Paese può essere rilanciata solo attraverso l’abbandono delle politiche assistenzialistiche e dei bonus, adottando riforme serie e concrete (concorrenza nei mercati e giustizia in primis) e puntando sugli investimenti “produttivi” e “intelligenti”, sulla neutralità tecnologica in campo energetico (con un ritorno al nucleare), sull’istruzione di qualità e sul rafforzamento della formazione tecnico professionale, in grado di rigenerare il mercato del lavoro attraverso una reale corrispondenza della domanda da parte delle imprese con l’offerta da parte dei lavoratori. Solo così potrà aumentare la produttività, la quale è stagnata da decenni.
Ma la produttività deve affrontare anche un altro ostacolo, che provoca sia l’aumento della spesa previdenziale che la diminuzione della forza lavoro: l’inverno demografico. Per contrastare quest’ultimo fenomeno, l’Italia ha bisogno da un lato di aumentare i flussi regolari in ingresso (per lo svolgimento e la copertura di attività lavorative che gli italiani non vogliono più portare avanti), dall’altro di eliminare dall’attuale agenda legislativa le politiche relative agli anticipi pensionistici.
Per crescere e rendere sostenibile ed equilibrato il debito pubblico italiano, la nostra classe politica ha il dovere di agire responsabilmente per il bene comune, seguendo principalmente un percorso economico basato sulla spesa pubblica buona, finalizzata alla competitività delle imprese e all’incremento dell’occupazione, all’educazione di qualità per i lavori di oggi e per quelli di domani e al potenziamento della ricerca e dell’innovazione, fattori essenziali per il benessere e l’attrattività del nostro Paese.
(*) Presidente di Ripensiamo Roma
Aggiornato il 28 agosto 2024 alle ore 10:24