Chi sono questi fantasmi”, si domandava Eduardo De Filippo, ed oggi sempre più gente con lo stesso spirito si chiede che faccia abbiano i poteri bancari europei, soprattutto se risiedano in Germania, in Francia, in paradisi fiscali o in giro per il mondo. Domande logiche e naturali, in considerazione di com’è cambiata negli ultimi quarant’anni la convivenza europea. Qualcuno dice perché si sarebbe lacerato lo spirito dei padri fondatori che ebbero a sottoscrivere il Trattato di Roma del 1957. Ma non è solo questo. Va considerato che l’Europa rappresentava per l’Occidente anglo-statunitense il confine naturale con l’Oriente. Il Trattato di Roma infatti veniva siglato nel 1957, due anni dopo il Patto di Varsavia del 1955: ovvero due anni dopo il trattato di amicizia, cooperazione e mutua assistenza militare tra i paesi socialisti.
Quindi, quell’Europa unita nasceva come reazione atlantica in epoca di Guerra Fredda. Con quello stesso spirito, l’Occidente vedeva nella Repubblica federale tedesca il gendarme europeo della Nato. Questi concetti erano stati ben chiariti da Giulio Andreotti, quando nel 1989 usava la frase di François Mauriac: “Amo tanto la Germania che ne preferivo due”, per spiegare cos’era l’Europa prima della caduta del muro di Berlino. Soprattutto prevedendo il futuro del mercato comune. Non solo si è spostato il confine, ma i cosiddetti poteri bancari e industriali non risiedono più in Germania: qualche potentato finanziario nostalgico è rimasto in Francia, e solo questo permette ad Emmanuel Macron di fare la voce grossa. I poteri bancari europei sono oggi evidentemente internazionali (mondiali) e gestiscono l’euro da diverse centrali. A Bruxelles, Bonn, Strasburgo e Francoforte c’è solo la dirigenza subordinata e la buona classe impiegatizia. Un ruolo strategico lo ha oggi Varsavia: ecco perché Ursula von der Leyen ha chiuso la sua ultima campagna politica europea in Polonia. Quest’ultima, è una nazione forte dell’Ue, probabilmente la più forte. Usa l’Euro ma ha come valuta a corso legale lo Zloty: oggi ci vogliono un poco più di quattro zloty per fare un euro. Questo permette al sistema finanziario-industriale tedesco di giocare su tre gambe di moneta, Euro, vecchio Marco intercambiabile e Zloty.
Ricordiamo che, caduto il muro di Berlino, la metallurgia tedesca è pian pianino assurta alla più importante d’Europa, eliminando grazie alle normative europee (votate da tutti, anche dagli italiani) l’Italia. Ricordiamo che fino a vent’anni fa il Belpaese era la prima manifattura d’Europa e la terza al mondo (anche con dépendance all’estero). Caduta l’Italia, la Germania ha ottenuto il primato su ferro, acciaio e alluminio, spiccando il volo sulle produzioni di automobili. Basti pensare ai marchi Volkswagen, Audi, Bmw, Daimler AG-Mercedes, Porsche e i nuovi acquisti Lamborghini, Bugatti, Bentley, e la Ducati, al materiale ferroviario ed aeronautico (Airbus) e agli elettrodomestici (per esempio Bsh Bosch).
L’Italia ha, grazie a normative europee e guerre intestine all’impresa (fatte anche dalle procure), chiuso sia con la metallurgia che con le industrie di auto, moto ed elettrodomestici. E non apriamo il capitolo Fiat, perché la politica ha volutamente favorito l’acquisizione di tutti i marchi automobilistici da parte della famiglia Agnelli. Ma oggi dice male anche ai tedeschi, e perché i poteri bancario-industriali, quelli che giocano su tre monete (Euro, Marco e Zloty), hanno spostato le centrali operative europee in Polonia e reso apolide o multinazionale la propria residenza. Questo ce lo spiega bene un reportage dell’Agenzia giornalistica italiana (Agi) del 2021, in cui si legge “La Germania e la Polonia sono indissolubilmente legate fra di loro: e non si tratta solo di vicinanza geografica, che di per sé contribuisce a stimolare rapporti di buon vicinato, ma di una lunga storia di relazioni commerciali ed economiche. Negli ultimi 30 anni il volume di scambi tra Berlino e Varsavia è passato da 8 a 123,5 miliardi di euro – sottolinea l’Agi – Le relazioni tra i due Paesi si sono fatte sempre più strette, con un dinamismo accentuato soprattutto nell’ultimo decennio, tanto da indurre diversi analisti a vedere nel commercio una necessaria ancora di stabilità nelle relazioni tra Berlino e Varsavia”.
Secondo un rapporto della KfW Research la Germania “si è ritagliata il ruolo indiscusso di principale partner commerciale della Polonia”. “È stata l’adesione all’Unione europea ad aver messo il turbo alla scalata polacca tra i partner commerciali di Berlino – spiega l’Agenzia – passando dal 12° posto del 2005 al sesto del 2019. Dopo Cina, Paesi Bassi, Stati Uniti, Francia e Italia, ma riuscendo a scalzare il Regno Unito”. Ma tutto questo miracolo è merito sia di un ingente flusso di investimenti stranieri che di una strategia messa a punto dai poteri finanziari occidentali: è stata siglata una intesa tra i potentati finanziari polacchi che risiedono negli Usa e vertici e azionisti di multinazionali (tedesche e inglesi). Ecco cosa ha ribaltato l’immagine di una Polonia vista per secoli come una povera terra di conquista. Oggi Varsavia è considerata dai poteri bancari europei come l’ancora di salvezza, e in considerazione della crisi politica che attanaglia Bruxelles, ormai evidentemente assediata dal partito della dissidenza su gran parte delle norme Ue.
Oggi, i poteri bancari sostengono le principali industrie polacche: siderurgia e metallurgia concentrate nella Slesia, storica regione germanofona. Mentre l’industria meccanica imperversa a Varsavia, Stettino, Cracovia. Oggi a Danzica e Stettino si trovano i più importanti cantieri navali europei: lì qualche potere bancario europeo vorrebbe portarci un asset italiano, casomai dopo aver tolto al Belpaese Finmeccanica e Fincantieri (come da promessa fatta sullo yacht Britannia nel giugno 1992). Ma è un progetto che parte da lontano, perché la rete delle comunicazioni è stata potenziata con soldi europei nel corso di tutta seconda metà del Novecento. Attualmente i tedeschi benestanti o ricchi residenti in Polonia vengono stimati in circa 50mila, concentrati per oltre il 90 per cento nel voivodato di Opole, regione a sud-ovest del Paese, dove si trovano quasi tutti i municipi germanofoni. Che questo progetto venisse da lontano lo aveva notato proprio Andreotti, che non ebbe a profferire parola quando Papa Giovanni Paolo II (Karol Wojtyła) raccontava che il Vaticano aveva internazionalmente fatto cancellare i debiti alla Polonia, e dopo il proficuo finanziamento anglo-Usa al movimento Solidarność di Lech Wałęsa.
Giulio Andreotti aveva sempre diplomaticamente evitato screzi con i poteri bancari tedeschi, ecco perché molti considerarono l’Italia potesse aver favorito la fuga di Herbert Kappler dall’Ospedale del Celio (quel 15 agosto del 1977 correva il terzo Governo Andreotti). Ma oggi non esiste più quella Germania da ingraziarsi per scongiurare problemi finanziari. Era esistita fino ad una ventina d’anni fa. Quando c’era prima una Germania federale e poi quella unita (dopo il 1989) che ficcava il naso nei nostri affari politici. Nella seconda metà degli anni Ottanta, lo scrivente incontrava Mario Tedeschi e l’allora senatore del Msi Tommaso Mitrotti. La notizia del giorno era che non ben chiari “poteri bavaresi” (forse servizi segreti di Monaco di Baviera) avrebbero favorito intese tra Silvius Magnago e Gianfranco Miglio. Motivo? Agevolare un partito del Nord Italia. Magnago era l’esponente significativo della Südtiroler Volkspartei, storico presidente della provincia autonoma di Bolzano. Mentre Gianfranco Miglio era l’ideologo della Lega, il giurista che aveva gettato le basi del federalismo e creato il politico Umberto Bossi.
Magnago aveva servito la Germania come militare sul fronte russo, e lì perso una gamba, poi nel dopoguerra si era avvicinato alla Democrazia cristiana per criticarla e costruire le ragioni dell’autonomia dell’Alto Adige: il pacchetto di leggi a favore di Bolzano e dell’Alto Adige fu indubbiamente il risultato di un braccio di ferro tra Magnago e la Dc romana, e con tanto di buona parola messa dai “poteri bavaresi”. L’incontro tra il “tirolese” e l’ideologo della “Lega lombarda” si sarebbe consumato pochi anni prima dalla caduta della Prima Repubblica. Perché tutti gli addetti ai lavori sapevano che la classe di governo sarebbe caduta per via giudiziaria, del resto era la profezia di Alberto Teardo arrestato il 14 giugno 1983 da presidente della Regione Liguria (un evidente attacco all’accordo Caf, Craxi Andreotti Forlani, che ha retto i governi fino al 1992).
Oggi non esiste più quella Germania che segue le vicende italiane per regolarsi sui propri affari e sulle politiche finanziarie. Ma ci sono comunque dei tedeschi (sarebbe il caso di dire degli stranieri) che spiano le vicende italiane per riferirle ai poteri bancari che supportano la von der Leyen. Quindi, se per tutto il primo Reich dovevamo temere le invidie dell’imperatore di Germania che ci mandava i lanzichenecchi, e nel secondo Reich il disprezzo degli eredi di Federico II di Hohenzollern (Federico il Grande) che avevano studiato i classici e poi Dante, e dopo il terzo la sempiterna considerazione di essere dei traditori della Germania, invece oggi quello che dobbiamo temere è la spoliazione per mano di norme europee ispirate da Ceo di multinazionali.
Non è un caso che polacchi e tedeschi abbiano insieme sottolineato che l’Italia ha ricevuto più soldi di tutti dal Pnrr: 151,4 miliardi di euro ricevuti finora, e il nuovo piano prevede un importo totale di 194,4 miliardi. A questo punto qualche vocina maliziosa ci consiglia di prendere il malloppo e scappare dall’Unione europea, di metterci nella stessa condizione della Turchia, di sfruttare la nostra atavica rendita di posizione: quella che il nord germanico ci ha sempre criticato, considerandoci parassiti sin dal crepuscolo di Roma.
Aggiornato il 09 agosto 2024 alle ore 12:15