La quantificazione dell’indennizzo, che spetta ai privati, non può essere autodeterminata dalla Pubblica amministrazione
All’inizio del Novecento, Santi Romano scriveva: “L’indennizzo non è conseguenza di un illecito ma è condizione di liceità dell’atto stesso che impone un sacrificio al privato” (Principii di diritto amministrativo italiano, Santi Romano, 1912). Il dibattito sulla responsabilità da atto lecito della Pubblica amministrazione (di seguito Pa), iniziato nella prima metà dell’Ottocento, a oggi non ha ancora trovato risposte univoche dalla dottrina e dalla giurisprudenza.
Calandoci nel contesto attuale, Rete ferroviaria italiana Spa ha di recente comunicato che – tra opere piccole, medie e grandi – sono quattromila i siti interessati dai lavori di potenziamento della rete su ferro, sommando i lavori finanziati dal Pnrr e gli altri interventi programmati. Sono nove i miliardi di investimenti previsti nel 2024 dal gestore ferroviario statale. È in tempi come questi, in cui l’intervento dello Stato nella società e nell’economia diviene più intenso, che occorre focalizzare l’attenzione sulla tutela del diritto di proprietà, a fronte dei pregiudizi nella sfera giuridica dei privati compiuti dalla Pa nell’esercizio della sua attività lecita. L’interrogativo principale è il seguente: fino a che punto la Pa, nell’esercizio della sua attività lecita, finalizzata al perseguimento dell’interesse pubblico, può svuotare il contenuto del diritto di proprietà, limitando l’esercizio delle facoltà di godere e disporre del proprio bene che spettano al titolare del diritto?
Nel nostro ordinamento vi sono situazioni, come le espropriazioni per pubblica utilità, vaccinazioni obbligatorie, revoca di provvedimenti amministrativi, che sono disciplinate da specifiche norme che pongono in capo all’Amministrazione pubblica il dovere di indennizzare i danni subiti dai privati. Non esiste, invece, una norma giuridica né un principio generale consolidato per i danni subiti dai privati conseguenti a un atto lecito della Pubblica amministrazione. L’assenza di un regime giuridico generale lascia insoluta la questione per le ipotesi non previste dalla legge, come le cosiddette “espropriazioni sostanziali” e come nel caso che ci occupa dei “danni temporanei” conseguenti alla cantierizzazione.
È la situazione dei proprietari di abitazioni prospicenti i cantieri che subiscono per tutta la durata degli stessi (di solito per anni) gli aumenti di immissioni rumori, vibrazioni, polveri e riduzioni all’accessibilità alle loro case. Non è infatti infrequente che i soggetti attuatori delle opere pubbliche si rifiutino di indennizzare i privati danneggiati dai nuovi cantieri o si limitino a offrire la ricollocazione dei residenti, solo per i soggetti maggiormente interferiti dalla costruzione delle nuove opere pubbliche, senza specificare a che titolo di responsabilità offrono il ristoro. Questa “zona d’ombra” ha come conseguenza che la Pa, nelle trattative dirette con i privati interferiti dai cantieri, per determinare gli indennizzi applichi delle “linee guida” emanate dalla stessa, che non hanno un valore di legge, ma solo di regolamento interno. Spesso i soggetti attuatori delle nuove opere pubbliche stipulano accordi prevedendo “protocolli di intesa” con Enti territoriali, senza tuttavia ammettere ai tavoli rappresentanze dei privati danneggiati.
Facile supporre le conseguenze. Da una parte esclusione delle responsabilità dei soggetti attuatori pubblici, dall’altra forti limitazioni alle facoltà comprese nel contenuto essenziale del diritto di proprietà dei privati danneggiati dalle nuove opere pubbliche. Che il giusto indennizzo sia ottenibile solo tramite un costoso giudizio è assolutamente inaccettabile in un Paese liberale. È inammissibile che, ancora oggi, sia diffusa e prevalga una logica fondata sull’idea che il fine pubblico possa giustificare sacrifici non compensati o, laddove sono previsti da “linee guida” o “protocolli di intesa”, vi siano indennizzi apparentemente fondati su un principio di equità, ma nei fatti spesso irrisori, quindi lesivi della sfera giuridica soggettiva dei cittadini danneggiati dalle nuove opere pubbliche.
Un’altra autorevole dottrina, sempre nei primi anni del Novecento. affermava: “Se il privato, a fronte dell’esercizio del potere dell’amministrazione, viene esposto a un grave sacrificio, questo deve essere indennizzato con il denaro pubblico, ripartendo l’onere su tutta la collettività” (Federico Cammeo, L’azione del cittadino contro la Pubblica amministrazione, Torino, 1905). Eppure, anche adesso, taluni autori ritengono che nei rapporti con i cittadini la Pa goda di poteri di “supremazia speciale”. Seguendo questa prospettiva, non sussisterebbe alcuna forma di responsabilità in capo all’Amministrazione né di conseguenza alcun obbligo di indennizzo, fatti salvi ovviamente i casi espressamente previsti dalla legge (tra questi non vi sono i danni temporanei da cantierizzazione) e le fattispecie riconducibili agli atti illegittimi.
Ma è dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo che sono andate delineandosi le garanzie indennitarie per i cittadini lesi dall’attività lecita della Pa e, più in generale, gli standard minimi di tutela dei diritti dei privati nei rapporti con i poteri pubblici. In questo contesto, la emanazione di leggi lesive dei diritti soggettivi (quantomeno costituzionali) costituisce un illecito che deve essere riparato, se non altro ricorrendo alla Corte di Strasburgo. In altre parole, viene superato il principio tradizionale che nel rapporto tra Pa e cittadini vi sia la supremazia del pubblico, pur nel sacrificio del privato. I diritti dei privati divengono la misura e il limite all’esercizio del potere della Pa.
E nel concetto di legalità definito dalla Cedu che ritorna il principio espresso da Santi Romano all’inizio del Novecento, non più quindi “dove c’è potere non c’è diritto, ma al contrario dove c’è un diritto non c’è il potere” (Principii di diritto amministrativo italiano, 1912). Su queste basi la Corte di Strasburgo (Cedu, Lithgow c. Regno Unito, 7 marzo 1986; Cedu, Grande Chambre c. Scordino, 29 marzo 2006) è giunta a costruire un sistema di tutela indennitaria, non solo della proprietà, ma di tutti gli interessi patrimoniali di fronte all’azione, non solo espropriativa, da parte della Pa. In tale ambito, troverebbero accoglimento le domande di indennizzo dei “danni temporanei” da “cantierizzazione” anche se qualificato come interesse patrimoniale oggetto del diritto di proprietà su di un determinato bene. Ancora meglio, allo scopo di rendere effettiva e giusta la garanzia indennitaria a tutela della sfera giuridica soggettiva del privato, appare auspicabile l’intervento del legislatore nazionale volto a disciplinare i “danni temporanei” conseguenti alla cantierizzazione prevedendone specificatamente l’indennizzo.
In conclusione, anche a causa dei “danni temporanei” conseguenti alla cantierizzazione di nuove opere pubbliche, per usare le parole del professor Carlo Lottieri, “la proprietà immobiliare è costantemente sotto attacco” da parte della Pa (La Proprietà sotto attacco. Prefazione di Giorgio Spaziani Testa, edizione Liberilibri, 2023). Infine, anche in questo caso si prospetta l’opportunità di valorizzare l’operato delle associazioni a tutela della proprietà privata e delle altre rappresentanze territoriali di categoria per partecipare a tavoli di concertazione con la Pa, al fine di tutelare in contradditorio i privati danneggiati dalla costruzione di nuove opere pubbliche. La mancanza di confronto diretto con le rappresentanze dei privati danneggiati rischia, infatti, di produrre un aumento del contenzioso giudiziale, che significherebbe una sconfitta per entrambe le parti.
(*) Presidente Confedilizia Liguria
Aggiornato il 07 agosto 2024 alle ore 10:38