Il ddl concorrenza è una scatola vuota

Nei giorni scorso il Governo ha approvato il disegno di legge annuale per la concorrenza per il 2024. L’obiettivo, piuttosto esplicito, è di rivendicare una delle riforme del Pnrr e passare così all’incasso della prossima rata. Se avete la sensazione che si tratti di un mero e svogliato adempimento formale, avete perfettamente ragione. Già l’anno scorso tale provvedimento appariva come un contenitore semivuoto. Quest’anno, se possibile, l’Esecutivo è andato oltre, licenziando un ddl che nel titolo richiama la concorrenzama nei contenuti ha ben poco a che fare con essa. Nel merito, beninteso, non tutto è da buttare. Il ddl contiene una prima, corposa parte finalizzata al riordino delle concessioni autostradaliAlcune misure sono condivisibili: per esempio la ridefinizione del perimetro delle concessioni sulla base delle (modeste) economie di scala esistenti in questo business. Ambiti troppo grandi rendono meno contendibili le gare e, quindi, meno efficaci le procedure competitive di selezione del gestore alla scadenza della concessione precedente, come abbiamo più volte argomentatoAltri interventi vanno meglio compresi o sono peggiorativi dell’esistente: per esempio, rispettivamente, le ampie deroghe all’obbligo di gara e la marginalizzazione dell’Autorità dei Trasporti rispetto al Ministero.

Per il resto, il ddl contiene misure del tutto marginali, siano esse positive (la banca dati contro le frodi assicurative) o discutibili (la consueta spruzzata di paternalismo consumerista, questa volta in relazione alla riduzione del contenuto dei prodotti confezionati a parità di prezzo). Quello che più balza agli occhi non è ciò che il provvedimento contiene ma le tante cose che potrebbero esserci e delle quali, invece, non c’è traccia: non si parla di ferrovie, non si parla di professioni, non si parla di energia, non si parla di poste (minuscole) in una fase storica in cui Poste (maiuscolo) sta diventando una sorta di amministrazione pubblica ombra. Più che sulle liberalizzazioni, quindi, l’analisi di questo ddl dovrebbe far riflettere sull’efficacia del Pnrr: in teoria uno strumento per rendere politicamente digeribili le riforme attraverso l’erogazione di ingenti finanziamenti, in pratica (e sempre più) il cavallo di Troia di nuova, e non necessariamente utile, spesa pubblica. Quando, nel 2026, si farà un bilancio del Pnrr probabilmente si osserverà che non tutti gli investimenti sono stati realizzati, a causa dei vincoli di tempo e di altre ragioni. Le riforme forse saranno state tutte portate a termine, nel senso che a ogni riforma richiesta corrisponderà una legge entrata in vigore. Se l’esperienza degli ultimi ddl dedicati alla concorrenza ci insegna qualcosa, è che tra smarcare una casella e fare una riforma c’è una differenza che nessuna pioggia di miliardi può colmare.

(*) Direttore Ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni

Aggiornato il 30 luglio 2024 alle ore 13:37