L’ultimo colpo di coda di Joe Biden agli affitti di case

La proposta fa seguito all’impegno assunto durante il suo discorso a marzo sullo Stato dell’Unione e alla pubblicazione, a gennaio 2023, del “Blueprint for a renters bill of rights”

La fine del suo mandato è ormai vicina: poco più di tre mesi e gli americani sceglieranno il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America. Nonostante ciò, Joe Biden ha da poco annunciato nuove iniziative tra le misure di controllo degli affitti di case che, a suo dire, dovrebbero abbassare i costi degli alloggi, limitando gli aumenti degli affitti e costruendo più cas: “L’affitto è troppo alto e l’acquisto di una casa è fuori dalla portata di troppe famiglie di lavoratori e giovani americani, dopo decenni di fallimenti nel costruire abbastanza case”, ha dichiarato, come ha riportato il The Mercury News. Ed ha aggiunto: “Sono determinato a cambiare le cose”.

In particolare, secondo la scheda informativa della Casa Bianca, il presidente americano intende far approvare dal Congresso una legge che impedisca ai proprietari di richiedere aumenti dei canoni di affitto in misura superiore al 5 per cento annuo, qualora gli stessi si avvalgano del beneficio fiscale dell’ammortamento accelerato. Questo consente di contabilizzare le spese di ammortamento a un ritmo ancora più veloce rispetto ai tradizionali 27,5 anni, riducendo così ulteriormente il reddito imponibile associato alla proprietà del bene locato. Nella diversa ipotesi, dovrebbero quindi avvalersi dell’opzione fiscale che, per gli immobili concessi in locazione, consente di contabilizzare come spesa la diminuzione di valore dei medesimi beni, generalmente allo stesso tasso per il già indicato periodo.

La misura proposta, che riguarderebbe più di 20 milioni circa di unità nel territorio degli States, dovrebbe applicarsi, a partire da quest’anno e per i prossimi due anni, ai locatori con oltre 50 unità nel loro portafoglio, con esclusione degli immobili di nuova costruzione e di quelli ristrutturati o in corso di ristrutturazione.

Si tratta, a ben vedere, di una iniziativa elettorale, che non potrà innanzitutto giovare al suo promotore, che ha desistito dalla corsa per l’eventuale rielezione. La stessa è stata pure aspramente criticata dalle associazioni dei proprietari. “Settantacinque anni di tentativi di limitare gli affitti a New York City non hanno reso New York City più accessibile. È stato un disastro per i contribuenti. Non ha creato le nuove abitazioni”, ha rilevato, ad esempio, Frank Ricci, vicepresidente esecutivo della Rent Stabilization Association in una dichiarazione alla Cbs News. A sua volta, Carl Harris, presidente della National Association of Home Builders (Nahb) ha sottolineato che “il controllo degli affitti in qualsiasi forma è dannoso per l’edilizia abitativa e il piano fiscale del presidente Biden di limitare gli affitti al 5 per cento sulle strutture multifamiliari esistenti peggiorerà la crisi dell’accessibilità abitativa scoraggiando gli sviluppatori dal costruire nuove unità abitative in affitto in un momento in cui la nazione sta vivendo una carenza di 1,5 milioni di unità abitative. Questi tetti agli affitti danneggerebbero anche gli inquilini esistenti – quelli che il presidente sta cercando di aiutare – perché i proprietari e gli sviluppatori non sarebbero in grado di coprire l’aumento dei costi se gli affitti fossero fissi. I principali economisti e numerosi studi nel corso degli anni concordano sul fatto che il controllo degli affitti aggraverebbe i problemi di accessibilità economica esacerbando la carenza di alloggi in America”.

A parte ciò, tale iniziativa non potrà comunque conseguire i risultati ipotizzati, laddove dovesse raggiungere il porto di destinazione, con la trasformazione in legge. Al pari di altre similari, non tiene infatti conto dei principi basilari della scienza economica, che tratta delle persone e del loro interagire, nella quale rivestono un ruolo essenziale la libera iniziativa imprenditoriale, il mercato e la proprietà privata. Né fa tesoro dell’esperienza e del numero davvero ragguardevole di fallimenti che hanno contrassegnato le precedenti azioni manipolative del mercato con provvedimenti di controllo degli affitti.

Il mercato delle locazioni, è sempre opportuno ricordare, funziona esattamente come tutti gli altri mercati di beni e servizi, instradando le attività degli individui nella direzione in cui servono meglio i bisogni dei propri simili. Esso è affidato all’iniziativa privata e alla libera concorrenza, con gli attori, proprietari e inquilini, che agiscono e cercano di modificare le circostanze attuali al fine di raggiungere stati futuri più soddisfacenti. I primi, motivati a massimizzare i profitti come qualsiasi altro uomo d’affari o imprenditore, offrono gli immobili e cercano di ottenere il massimo rendimento possibile dal loro investimento. Gli inquilini, quali consumatori, e pertanto sovrani nel mercato, domandano i beni offerti dai proprietari con l’obiettivo di spuntare migliori prezzo e condizioni. Entrambi, che sono ovviamente liberi, rispettivamente, di offrire e di domandare, costituiscono di conseguenza una di quelle che, sul piano economico, si chiamano coppie di elementi antinomici: sono cioè due elementi che formano coppia perché assoggettati da esigenze economiche diverse, ma che reciprocamente si integrano. Quindi, l’uno non può stare senza l’altro, l’uno non si spiega senza l’altro. I due, come tutti quelli che operano nel mercato, si cercano, si postulano, ma, venuti in contatto, appunto perché antinomici, obbedienti cioè per certi aspetti a interessi antagonistici, fanno contrasto. Dal modo più o meno armonico con cui si risolve questo contrasto deriva un risultato utile per l’economia rappresentato dalla soddisfazione del bisogno della casa per un giusto prezzo delle pigioni sul mercato degli alloggi e si realizza lo scambio, che avviene così a somma positiva, avvantaggia, cioè tutti i partecipanti.

Sennonché, quando la mano pubblica interferisce in siffatto rapporto con misure di controllo degli affitti, come quella congetturata da Biden, si produce un effetto distorsivo sulle dinamiche naturali del mercato, che costringe le parti a ricercare altri modi per compensare le conseguenze dell’intromissione e a operare diversamente da come farebbero in un mercato libero e concorrenziale, non condizionato dall’intervento pubblico. In argomento è sufficiente richiamare che decenni di ricerche, tra cui uno studio del 2019 della Stanford University, hanno mostrato che i citati interventi portano a una riduzione dell’offerta, in quanto molti immobili vengono ritirati dal mercato perché l’affitto non è più remunerativo; in altri vengono differiti i lavori di manutenzione o forniti servizi di qualità inferiore; altri ancora sono convertiti o riadattati, per essere impiegati per altre tipologie locative. Il controllo scoraggia inoltre gli investimenti e la costruzione di nuove unità abitative, mentre quelle che vedono la luce risultano di un livello inferiore di qualità e con costi contenuti, per bilanciare i minori rendimenti. Tutte queste cose tendono ad avere conseguenze indesiderabili e impreviste, peggiorando, anziché migliorare, la condizione degli inquilini: quelli già in possesso di una casa, saranno costretti occuparla più a lungo, anche quando la stessa non soddisferà più le loro esigenze; quelli che saranno invece alla ricerca di un alloggio, incontreranno enormi difficoltà a trovarne qualcuno disponibile, oltre che corrispondente alle loro esigenze, dovendo fare i conti con maggiore concorrenza dal lato della domanda e prezzi più alti per un minor numero di unità disponibili.

Rebus sic stantibus è pertanto necessario muoversi in ben altra direzione con la liberalizzazione del mercato delle locazioni, e non è affatto vero che tale liberalizzazione – come è diffusa ma erronea convinzione – porrebbe in crisi un gran numero di famiglie, tutte le famiglie che abitano case detenute in locazione. Invero, come dimostra la recente esaltante esperienza argentina, la liberalizzazione farà considerevolmente diminuire e non aumentare il numero delle famiglie in difficoltà, perché il fenomeno della penuria di alloggi non riguarda soltanto le famiglie che dispongono di casa in affitto, ma concerne anche le famiglie – tra le quali costituite da giovani coppie – che non hanno la casa, versano sempre nell’ansiosa attesa di reperirla e sono nel frattempo, spesso per lungo tempo, costrette alla coabitazione.

Va da sé che la eventuale liberalizzazione del mercato non indurrà i proprietari di casa in affitto a sfrattare immediatamente i loro inquilini. Cosa farebbero diversamente delle case vuote?

Aggiornato il 26 luglio 2024 alle ore 11:42