Da Diocleziano a Conte, breve storia del controllo dei prezzi

Fin dai tempi dell’imperatore Diocleziano, i governi hanno tentato con una certa sistematicità di intervenire nel meccanismo di formazione dei prezzi all’interno dell’economia.

L’autocrate dalmata, personaggio di gran livello sotto molti aspetti, non era uno che andava per il sottile: nel 301 d.C. pubblicò l’Edictum De Pretiis Rerum Venalium, passato alla Storia come l’editto di Diocleziano, in cui fissava i prezzi massimi di 120 beni di prima necessità (il vino di Piceno e il Falerno si scoprirono essere i più pregiati). A causa delle continue guerre e dell’emissione di moneta da parte di vari imperatori o usurpatori, si era precipitati in piena inflazione e l’imperatore pensò di bloccarla comminando fino alla pena di morte per chi osasse trasgredire agli ordini. L’esperimento, com’era prevedibile, si concluse in un fallimento.

I produttori e i commercianti non mettevano più le merci sul mercato, e la borsa nera, difficile da controllare in un mondo con comunicazioni limitate e grandi spazi, erodeva l’effettività della norma. Proliferava anche il baratto, creando un’economia parallela e inefficiente. Insomma, già alla fine del regno di Diocleziano, ritiratosi a Spalato nel 305 d.C., il suo Edictum era virtualmente ignorato e si dovette aspettare l’avvento di Costantino per una riforma stabilizzatrice dell’emissione di moneta.

Ebbene, sono passati i secoli ma il vizio di stabilire il “giusto prezzo” di un bene riemerge con cadenza periodica e una delle sue destinazioni preferite sono gli immobili. Quasi nessuno si spinge a voler suggerire i prezzi di acquisto e vendita delle case, ma non sono pochi gli esempi che riguardano i contratti di locazione.

L’Italia è stata la patria dell’equo canone, periodo in cui si è registrata la più grande carenza di immobili da locare e la più grande evasione dei canoni d’affitto della storia unitaria (sugli effetti negativi del controllo dei prezzi suggerisco il chiarissimo paper di Rebecca Diamond, What does economic evidence tell us about the effects of rent control?), e tutt’oggi un contratto di locazione ha meno pastoie, ma non è completamente libero.

In termini di durata o di concessione delle agevolazioni fiscali sottoposte a condizioni varie, il legislatore non disdegna di inserire nella legge previsioni nelle intenzioni equitative ma negli esiti semplicemente inefficienti.

Un nuovo filone si è aperto con lo sfortunato, e per molti versi tragico, sopraggiungere della pandemia da Covid-19. Molti esercizi commerciali sono rimasti chiusi durante il lockdown, appartamenti di fuori sede inutilizzati e, in più, ci sono stati parecchi operatori o privati cittadini che hanno sofferto perdite economiche notevoli a causa della recessione da virus. Questa situazione ha causato da parte di molti l’insostenibilità o la difficoltà a pagare i canoni di locazione dei locali, civili o commerciali, da essi occupati.

Il governo ha risposto con il blocco degli sfratti (nel momento in cui vengono scritte queste pagine fino al 30 giugno 2021) che riguarda sia gli immobili a uso abitativo che quelli a uso diverso, come negozi, alberghi e altri esercizi commerciali.

E comporta che tutti i provvedimenti di rilascio di immobili già avviati in precedenza e ora in corso vengano sospesi nella loro attuazione. Di conseguenza, neppure l’ufficiale giudiziario che fosse stato già incaricato in precedenza dello sgombero potrà accedere all’immobile per liberarlo.

Tuttavia, anche in questo periodo potranno essere notificate nuove intimazioni di sfratto, sia per morosità sia per finita locazione. Quella che è sospesa, infatti, è l’esecuzione dei provvedimenti di rilascio dell’immobile, non la loro preordinazione e l’emissione dei provvedimenti necessari.

L’altra proposta, presentata come emendamento del Pd al decreto milleproroghe, poi ritirata ma che aleggia sul settore, è quella relativa alle locazioni brevi. Il testo prevedeva di lasciare ai comuni la possibilità di creare una licenza ad hoc per gli affitti brevi, fissando sia un tetto al numero di permessi sia “un limite di durata delle locazioni in un anno solare, differenziandolo anche in relazione alle esigenze delle zone del territorio amministrato, con specifico riferimento ai centri storici e le aree di interesse culturale e artistico”.

Peraltro, secondo i proponenti dell’emendamento – e sulla base di una norma poi inserita nella legge di bilancio – chi affitti più di quattro appartamenti (nella prima ipotesi, più di tre) dovrebbe essere considerato tout court un imprenditore, con conseguente aggravio sia di adempimenti burocratici che fiscali.

Infine, nel disegno di legge che delega il governo a riformare il Codice civile si trova un articolo che prevede il diritto delle parti di contratti divenuti eccessivamente onerosi per cause eccezionali ed imprevedibili, di pretendere la loro rinegoziazione secondo buona fede ovvero, in caso di mancato accordo, di chiedere in giudizio l’adeguamento delle condizioni contrattuali in modo che venga ripristinata la proporzione tra le prestazioni originariamente convenuta dalle parti.

Si tratta di provvedimenti e proposte con le quali il nostro imperatore dalmata si sarebbe trovato perfettamente a suo agio ma i cui esiti, ivi compresi quelli inintenzionali, sono più negativi che positivi.

Prendiamo il blocco degli sfratti. Il presupposto su cui si basa una disposizione del genere è che ci sia una parte “forte”, il proprietario di casa, e una debole, il conduttore. Orbene, a parte che non sempre ciò è vero in termini di ricchezza assoluta (si pensi al pensionato che affitti quello che era il suo emporio a una banca per aprire un’agenzia), in ogni caso bisogna guardare ai bisogni e alle disponibilità relative. Ad esempio, un proprietario che possieda due appartamenti per i quali abbia contratto un mutuo che paga regolarmente grazie ai canoni di locazione che riceve. Se i conduttori sono morosi, e nel contempo non possono essere sfrattati, diventa inadempiente il proprietario delle case nei confronti della banca, la quale potrà invece agire nei suoi confronti. Oppure riflettiamo su un ipotetico locatore che abbia stipulato un preliminare per la vendita della sua casa, che però è sospensivamente condizionato al fatto che l’immobile sia libero. Se scade la data prevista per il rogito finale ecco che la vendita non si realizzerà più e al proprietario mancheranno i soldi per ripagare un debito contratto per la sua attività di impresa magari provocandone il fallimento.

Questi casi ipotetici servono a far capire che, quando il legislatore interviene a gamba tesa nei rapporti tra privati fa necessariamente di ogni erba un fascio, trattando situazioni diverse in modo identico con evidenti problemi sia di giustizia che di efficienza (il rinvio di qualche mese dello sfratto compensa il fallimento della piccola impresa che lascia senza lavoro varie persone?).

Inoltre, bloccare gli sfratti equivale a un trasferimento di responsabilità nel voler alleviare le conseguenze nefaste del Covid- 19, che ovviamente ci sono, dallo Stato a un gruppo di cittadini scelto a casaccio, senza alcuna considerazione verso il principio della tassazione secondo la capacità contributiva. Perché di questo si tratta, di una tassa imposta agli sfortunati proprietari, siano essi la casalinga di Voghera o il grande fondo immobiliare internazionale, in quanto il governo non offre alternative all’inquilino (che potrebbe persino essere un pagamento cash, più utile del bonus monopattini) né ai padroni di casa (un ristoro). E oltre al danno la beffa, perché i locatori continueranno a pagare le imposte sui loro immobili inutilizzati e, anzi, “consumati” da chi ci abita.

Vi sono poi questioni più ampie di azzardo morale, nel senso che se si diffonde la sensazione che nonostante il mancato pagamento delle pigioni si possa tranquillamente restare a godere la casa gratis, anche quelli che pagano, o che avevano intenzione di riprendere a pagare, perché mai dovrebbero farlo?

Come minimo, poi, il “magazzino” di esecuzioni dei provvedimenti di sfratto che si accumuleranno presso le cancellerie dei tribunali sarà tale che comunque pure alla fine del blocco l’esecuzione subirà un ritardo enorme.

Infine, in un settore già in crisi come quello immobiliare, l’ultima cosa che dovrebbe fare il legislatore è promuovere provvedimenti che abbiano conseguenze ulteriormente depressive. Dimentichiamoci per un attimo le confuse proposte di patrimoniale che periodicamente riemergono dalla politica (soprattutto, ma non solo, dai partiti di sinistra): l’incertezza generata da disposizioni come quella dello stop agli sfratti (per di più totalmente discrezionale, nel senso che viene rinnovata a piacimento

dal governo) o quella sul limite alle locazioni brevi, e ancora le rinegoziazioni obbligatorie dei canoni d’affitto, per non parlare di nuove iniziative su forme più o meno mascherate di prezzi imposti, deprimono il valore degli immobili senza assicurarne una maggiore disponibilità.

La depressione deriva dal fatto che più il diritto di proprietà, inteso come godimento libero e indisturbato dei propri beni, è compresso, più il prezzo per un bene in proprietà si abbassa. Quanto alla minore disponibilità, ovviamente i locatori o toglieranno gli immobili dal mercato o pretenderanno pigioni più alte per compensare il rischio di non rientrarne in possesso.

La limitazione degli affitti brevi, infine, si spiega da sé: si proibisce di estrarre benefici da una casa e la si rende meno utilizzabile da parte di chi sarebbe invece disposto a pagare per poterlo fare, comprimendo anche le esternalità positive per l’economia (il turista poi spende anche in ristoranti o musei): un uso subottimale delle risorse o, se volete, un pessimo paretiano (stanno tutti peggio).

Si sa che Diocleziano, dopo 20 anni di onorato servizio, di difesa dei confini dell’impero e di riforma del suo sistema di governo (fu lui a istituire la tetrarchia), si ritirò a Spalato a coltivare degli appetitosi cavoli. Ecco, se in cambio dell’affitto a equo canone di confortevoli appezzamenti di terreno adatti a pomodori, broccoli, cicorie e ravanelli molti esponenti della classe politica decidessero di ritirarsi a vita privata, ci si potrebbe pensare su, persino contravvenendo al principio di libera contrattazione degli affitti.

(*) L’articolo di Alessandro De Nicola è tratto dalla pubblicazione del saggio “Controllare gli affitti, distruggere l’economia” a cura di Sandro Scoppa

Aggiornato il 19 luglio 2024 alle ore 13:39